Fare memoria dei tanti Martiri che hanno pagato con la vita la loro fedeltà ai valori perenni ed indissolubili della pace, della libertà, delle democrazia e di una convivenza umana e civile fraterna e solidale.
Rendere testimonianza è proprio questo: professare nella libertà la memoria del sacrificio delle generazioni che ci hanno preceduto e farla trasparire nei nostri comportamenti, nelle scelte quotidiane messe in atto, di fronte all’urgenza delle sfide, laceranti e drammatiche del nostro tempo; in quest’ora tanto oscura della nostra Storia, che per tanti aspetti ci riporta indietro di decenni. Infrangendo il ritmo consolidato delle certezze, che si sono rivelate illusioni, ma che noi davamo come acquisite.
La festa liturgica di San Marco (oggi, 25 aprile), così, non ci distoglie, né distrae dalla memoria di quel cambio d’epoca, di una transizione che ha caratteri così simili alla attuale, se è vero che Marco è, tra gli evangelisti, quello che assume il compito di tradurre e comunicare e trasferire, la parola in termini (dall’aramaico al greco) che fossero codice comunicativo condiviso: quel codice che affida alla capacità di amare, sconfiggendo l’odio, la testimonianza del Regno di Dio e del suo amore.
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Sono soltanto alcuni passaggi della magistrale omelia dettata oggi, 25 aprile, dal Vicario Generale della Diocesi di Vercelli, Mons. Mario Allolio, nel corso della S.Messa che ha aperto , in Parco Camana a Vercelli, la sobria, ma coinvolgente, celebrazione provinciale del 77.mo anniversario della Liberazione.
Una lezione davvero mirabile, che ci permettiamo di suggerire ascoltare integralmente, nel video che volentieri offriamo come nostra modesta partecipazione a questa giornata davvero significativa.
Una lezione che ha avuto – senza nulla sacrificare della “spiegazione” delle Letture del giorno – la capacità, da tutti colta ed apprezzata, di unire sentimenti di partecipazione civile a quelli condivisi nella fede.
Il nostro video ripropone, sempre integrale, anche l’allocuzione del Prefetto di Vercelli, Lucio Parente, che si è richiamata ai valori della Costituzione repubblicana, la cui radice affonda nell’esperienza della Resistenza e dell’Antifascismo; il rappresentante del Governo ha così colto e sottolineato la sintonia con il pensiero del Capo dello Stato, un messaggio anch’esso non soltanto volto a sollecitare unità, ma ad indicare la via per l’unità di intenti, nella comunità civile.
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Ecco, invece, il testo, anch’esso integrale, del discorso tenuto a nome dell’Anpi (l’Associazione Partigiani Italiani) di Vercelli, del Prof. Giacomo Ferrari.
Oggi celebriamo come ogni anno la liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista e l’inizio di un nuovo periodo storico, quello della repubblica e della democrazia, sanzionara dalla nostra costituzione. Il 25 aprile è il giorno in cui il CLN proclama l’insurrezione generale.
Il primo pensiero, nella nostra celebrazione, è dedicato al ricordo di quanti, già dal 43, insofferenti della tirannia e del sopruso politico, hanno abbandonato tutto, sono entrati nella clandestinità per assumersi la responsabilità di combattere per la libertà. Molti hanno perso la vita in battaglia, molti hanno subito arresti e torture indicibili. A loro dobbiamo eterna gratitudine per quello che hanno fatto e che ci hanno lasciato.
Ma fermarsi a questo ricordo sarebbe un esercizio di memoria certamente pietoso quanto sterile; ridurrebbe la nostra valutazione della Resistenza ad una pura operazione militare e mancheremmo di riconoscere il valore storico, morale e politico di quel movimento.
Il nostro pensiero deve andare al ricordo di quanti prima della lotta armata sono stati perseguitati, arrestati, torturati, mandati al confino o sono fuggiti in esilio, ma hanno continuato ad elaborare gli ideali di libertà e democrazia che sono stati la guida dei combattenti. Sono loro che hanno mostrato ai combattenti il mondo per cui stavano combattendo.
Il nostro pensiero deve andare alle molte repubbliche partigiane che hanno dato, in pieno combattimento, un esempio, purtroppo breve, di capacità organizzativa democratica.
IL nostro pensiero deve andare a coloro che, alla fine dei combattimenti hanno deposto le armi e ripreso quel dibattito e quegli ideali che hanno poi fissato nella Costituzione.
Molti dei testimoni diretti di quegli eventi stanno scomparendo o sono già scomparsi; ma rimaniamo eredi di quella memoria e soprattutto di quelle elaborazioni politiche che sono costate arresto e deportazione a molti. È giusto che la nostra memoria celebri quegli eroi (sono un esempio, come direbbe Foscolo), ma dobbiamo anche ricordare chi ha costruito il fondamento storico dei principi che stanno, o dovrebbero stare, alla base della nostra vita politica.
E purtroppo la società e la situazione politica ci sta dimostrando che mai come ora è di attualità riprendere quella memoria e trasformarla in uno stimolo a proseguire nella resistenza, nella difesa della libertà e della democrazia. Sono in atto numerosi attacchi alla nostra vita democratica e ai valori che la Resistenza ci ha donato.
E la prima tendenza pericolosa è quella di mettere le operazioni militari dei partigiani sullo stesso piano di quelle dei reparti della RSI. Si trasforma così una lotta di ideali contrapposti in un inutile calcolo di chi ha ammazzato più persone o chi è stato più spietato tra le due parti. Con questo si fa scomparire del tutto la differenza di valori che c’era tra le due, o tre, parti.
Si dimentica, e si fa dimenticare, che erano in gioco valori diversi, non solo la capacità di sparare al proprio nemico. Certo che durante una guerra, specialmente una guerra civile, si spara e ci si uccide, ma quello che conta sono i valori per i quali si combatte. Resistenza ha significato difendere valori di libertà e di democrazia, i reparti della RSI combattevano, magari in buona fede, per un regime fondato su altri principi.
Ne consegue la rivalutazione di figure storiche del nazifascismo, ai quali intitolare strade o piazze o assegnare la cittadinanza onoraria.
Oggi identifichiamo il Nazifascismo soltanto con dittatura, repressione e tortura. Dimentichiamo che non è soltanto questo l’elemento caratterizzante, la repressione è un metodo riprovevole di governo; ma dobbiamo guardare anche ai motivi per cui avvenivano le repressioni. Ciò che veniva represso era la libertà di espressione e di pensiero, cioè la discussione e il pluralismo, ciò che veniva imposto era un ordinamento politico, ma anche economico, a beneficio di pochi potenti e a discapito delle classi subalterne, un sistema fondato sul personalismo e la corruzione. Un sistema che ha portato a termine un programma imperialistico e coloniale, che ha formulato e messo in atto le leggi raziali, che ha represso le punte più brillanti della cultura. Un sistema che mirava a costruire un popolo gregge, però dove i più furbi continuavano a fare i cani.
Si cerca di minimizzare il peso della Resistenza sull’esito militare della guerra. Si dice che anche senza i partigiani, gli alleati avrebbero liberato l’Italia lo stesso. Non sono un esperto di strategie militari, ma credo di poter rispondere che c’è qualcosa di più importante dei successi militari: i partigiani hanno ridato dignità agli italiani, al di là del loro peso militare; gli italiani hanno potuto dimostrare che non erano quel gregge che forse anche gli alleati pensavano.
Non mancano anche attacchi diretti all’ANPI.
Recentemente si è creato un clima di aggressione violenta, chi ha orecchie per intendere intenda
anche se becera, contro l’ANPI per la posizione di prudenza che ha assunto su recenti fatti di Ucraina. È strano che mentre gli stessi consiglieri di Biden lo hanno invitato ad abbassare i toni del suo linguaggio (aveva chiamato Putin “macellaio” e lo aveva accusato di “genocidio”), i nostri difensori dell’Ucraina accusino l’ANPI di filo-putinismo solo perché il presidente nazionale ha usato la stessa formula del Segretario generale dell’ONU. La finalità sarà davvero la difesa dell’Ucraina o sarà la pura aggressione verso l’ANPI?
Si sente dire che i partigiani sono morti quasi tutti, allora a che serve l’ANPI? Certo che se l’ANPI deve occuparsi solo di ricordare i singoli partigiani, quando saranno morti tutti, e magari saranno scomparsi anche i loro eredi diretti non resterà niente altro da fare.
Ma la verità è che il 25 aprile è uno stimolo a preservare e tramandare i valori che hanno guidato quei partigiani. Domando: se quei valori sono ancora validi, se crediamo a libertà, democrazia, pluralismo, libero confronto d’idee, tutte le argomentazioni contrarie mostrano la loro inutilità, la loro capziosità e la loro malevolenza. Per questo oggi più di prima occorre resistere per onorare quei valori.
Si può obiettare, quei valori non sono più adatti alla nostra società e alla nostra politica. Personalmente non lo credo, ma ammettiamo pure che sia così.
Vogliamo, tutti quanti, farci dire da chi è “aggiornato” sulle evoluzioni della politica quali saranno i nuovi valori o preferiamo aprire la discussione su quello che vediamo cambiato, quello che accettiamo volentieri e quello che vorremmo veder cambiato. E vi garantisco che gli argomenti non mancano, temi enormi sui quali dobbiamo confrontarci.
C’è un più o meno evidente risorgere del fascismo che si manifesta con la serpeggiante legittimazione dell’esistenza di organizzazioni che si dicono culturali, ma che sono sede di evidente apologia del fascismo. Voglio augurarmi che l’attacco alla CGIL di Roma del 9 ottobre 2021 sia più un episodio isolato dovuto a qualche testa calda, ma è certo che alla mente di molti riporta eventi di un ben triste periodo. Voglio augurarmi che la mostra che si è inaugurata a Predappio sulla Marcia su Roma sia quello che dichiarano gli organizzatori, tutti privati, un evento culturale. Ma non posso credere che certe organizzazioni non abbiano come minimo una natura sospetta. I segni ci sono e ci parlano chiaramente, e dobbiamo vegliare.
Ma la porta al fascismo non l’apre soltanto la violenza di alcune frange. Il fascismo in Italia non l’ha portato la marcia su Roma, ma il disinteresse generale delle singole persone che volevano “starne fuori”, che preferivano schierarsi sull’onda di emotività nazionalistiche, che non volevano sentir parlare di rivendicazioni sociali, che preferivano lasciare ad altri l’impegno politico.
Oggi la situazione si sta ripresentando. La porta al fascismo l’apre prima di tutto il distacco dalla politica, il ripiegamento su se stessi, la logica della “politica fa schifo, sono tutti uguali, è tutto un magna magna”.
Proviamo a riprenderci prima di tutto la politica in prima persona, a parlare per “noi”, non per “loro”. Ricordiamo: il distacco dalla politica è il primo passo; poi ci mettiamo ad aspettare colui che ci aiuta a star meglio (a turno ci dovevano salvare Monti, Renzi, e giù fino a Draghi), che finisce col coincidere con l’uomo forte, il padre padrone che ci fa vedere la carota ma è pronto ad usare il bastone.
Lo so! Fare la politica, impegnarsi in prima persona è faticoso, qualche volta noioso, ci richiede di metterci in prima linea ad elaborare ideali e concetti confrontandoci con rispetto con chi la pensa diversamente da noi.
Ci sono due parole d’ordine immutabili: democrazia e libertà.
Democrazia è oggi la parola di cui tutti abbelliscono i propri discorsi. Significa “potere del popolo”. Troppo spesso, però, questo termine è inteso come “lasciare decidere al popolo” la conduzione del governo. Quante volte sentiamo dire oggi “questo è quello che ci chiedono gli Italiani”. Questo è ciò che gli antichi chiamavano “demagogia”= lasciarsi condurre dal popolo; non è questo il significato originario di democrazia, che è, invece, che il popolo deve esprimere i suoi poteri, nominare i suoi rappresentanti. Ma lo deve fare in modo cosciente, preparato, dopo un ampio confronto che restauri la continuità tra il potere del popolo e la funzione esecutiva del governo. Se poi lo vogliamo cambiare, lo possiamo, fare, ma dobbiamo fare quello che fecero i padri della Resistenza, elaborare nuovi modelli.
E anche libertà non significa “faccio quello che voglio”; il concetto di libertà è stato oggetto d’infinite discussioni filosofiche, e se vogliamo dare la nostra definizione dobbiamo riprendere quelle discussioni.
Ricordando anche che Democrazia e libertà non sono regali dati una volta per tutte, non sono concetti scontati, ma devono essere un impegno costante di tutti noi, un impegno di discussione e continua definizione. L’azione politica non può prescindere dal pensiero (Mazzini), altrimenti diviene azione pura, molto simile ai principi del fascismo stesso.
Certo, i segnali di un deterioramento della situazione politica sono molti e, dirò sinceramente, non è soltanto colpa nostra, di noi cittadini. Anche la politica attiva non ha fatto molto per rendersi attraente e digeribile. Ma proprio per questo mai come oggi è necessario difendere, ma anche rielaborare i valori per cui la Resistenza ha combattuto. Se non vogliamo essere costretti, se non domani tra qualche giorno, a riprendere le armi come fecero i partigiani, dobbiamo riaprire spazi d’impegno, spazi di discussione in cui si ridefiniscano termini importanti come libertà, democrazia, pluralismo, si ricerchino modelli socio-economici aggiornati alla nostra situazione attuale (crisi energetica, cicliche crisi economiche, crisi climatica), si rivitalizzino i partiti o altre forme associative politiche che si riterrà più opportuno. Quegli spazi devono essere riaperti perché sono l’unica speranza per il nostro futuro, per la formazione di giovani generazioni politicamente più preparate.
Ricordiamo, che la lotta partigiana è stata solo la pagina eroica di un libro molto più corposo che comincia con le denunce di Matteotti ed è continuato con le elaborazioni dei confinati politici e degli esiliati. Sono loro che hanno indicato gli obiettivi della lotta partigiana, che hanno stabilito la direzione da prendere e ci hanno lasciato come somma di tutti i pensieri di libertà e democrazia la Costituzione.
So che qualcuno starà pensando, ma perché questo nel celebrare la lotta partigiana ci parla di discutere, pensare. Risponderò solo con alcuni nomi: Ferruccio Parri, Riccardo Lombardi, Duccio Galimberti, Sandro Pertini, Carlo Rosselli, Pietro Nenni …. Erano forse persone che agivano senza far governare le loro azioni del pensiero?
Questo significa oggi resistere. Da un lato combattere sul piano culturale contro tutte quelle operazioni, alcune ammantate di falsa scientificità, di diminuzione, di aggressione o anche di semplici cavillazioni contro i valori della Resistenza. Dall’altro creare i presupposti per una nuova resistenza, preventiva.
Non siamo nel momento storico in cui è necessario prendere le armi, ma nel momento che occorre aprire spazzi di discussione, impegnarsi in prima persona per una società migliore, elaborare idee. Questo è ciò che renderà vitale e viva l’eredità della Resistenza.
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La mattinata si era poco prima aperta in Piazza Cesare Battisti, con la deposizione delle Corone d’alloro ai piedi del monumento ai Caduti.