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Nel filmato, integrali l'omelia dell'Arcivescovo Mons. Marco Arnolfo ed il saluto del Parroco -

VERCELLI - Mons. Stefano Bedello Parroco del Duomo - "Mi metto al servizio per favorire la corresponsabilità" - Tanta gente in Cattedrale per l'inizio del nuovo ministero pastorale del Sacerdote che fu ordinato proprio qui, 14 anni orsono - Molti spunti di riflessione nel suo messaggio: riconnettersi con noi stessi, con la nostra interiorità, per essere connessi come comunità - IL VIDEO E LA GALLERY

Prima la cronaca o prima i ricordi?

Non è facile scegliere, perché, in questa domenica 15 ottobre 2023, quando Mons. Stefano Bedello fa il proprio ingresso in Cattedrale, come nuovo Parroco del Duomo di Sant’Eusebio (e coordinatore dell’Unità Pastorale che comprende anche San Giuseppe, Sant’Agnese e San Bernardo – Madonna degli Infermi) torna alla mente quel (non troppo) lontano

17 ottobre 2009, – leggi cliccando qui –

quando il compianto Arcivescovo Padre Enrico Masseroni lo ordinava Sacerdote.

Un’emozione particolare, si diceva e non solo perché un nuovo “Operaio” giungeva ad occuparsi della Messe. Anche perché quelli erano gli inizi di un altro (sia permesso), certo non pari, ma anch’esso vissuto come adesione ad un compito, “ministero”: quello della comunicazione pastorale, categoria dell’informazione forse non troppo frequentata, ma nella quale VercelliOggi.it  ha sempre creduto (trovando, peraltro, più che lusinghieri riscontri tra i Lettori, che ringraziamo, anche in questa occasione).

E proprio in quel giorno (ma nei mesi precedenti si era già seguita l’ordinazione diaconale del giovane Sacerdote) ha data uno dei primi articoli (siamo on line dal 5 gennaio di quell’anno) pubblicati per raccontare di un fatto importante per il popolo di Dio che è in Vercelli, per l’intera Chiesa eusebiana.

Oggi, 14 anni dopo, abbiamo il piacere di documentare questo arrivo, di pubblicare alcuni momenti di una Liturgia davvero coinvolgente: semplice e coinvolgente, che dice di una – se si passa l’ossimoro – “familiarità solenne” forse la cifra più persuasiva di un momento bello della Chiesa eusebiana.

Il video che volentieri offriamo ai Lettori anche perché resti come documento di questo giorno, insieme ad ampi tratti della Liturgia, presenta, integrali, l’omelia dell’Arcivescovo, Mons. Marco Arnolfo, e l’indirizzo di saluto pronunciato dal nuovo Parroco.

La S. Messa è stata animata, suscitando apprezzamento unanime, dalla Cappella Musicale della Cattedrale, diretta da Mons. Denis Silano.

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Dunque, l’omelia, dettata per illustrare le Letture di questa XXVIII domenica del Tempo Ordinario (Is 25, 6-10; Sal.22; Fil 4, 12-14. 19-20; Mt 22, 1-14.) con quel noto ed esigente brano del Vangelo di San Matteo.

Un affresco, come un trittico, che si compone di tre immagini, che a tutta prima possono apparire di non facile lettura.

Ma l’omelia ha proprio questo scopo: spiegare la Parola di Dio.

Così, si inizia il “viaggio” in questa pagina di Vangelo che forse si può comprendere meglio se si inizia della fine, con quella sentenza così netta: ”Molti sono chiamati, ma pochi gli eletti”.

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L’OMELIA

Se fossimo i registi e gli sceneggiatori di una fiction, sarebbe d’obbligo dedicare l’inquadratura di apertura – la prima immagine – a quella sala, già preparata per una festa.

Una festa nuziale, che il re prepara per le nozze del Figlio.

Una festa disertata, come sappiamo, proprio da coloro che per primi vi sono invitati.

Tanti i motivi: qualcuno di questi motivi di diserzione possiamo forse cercarlo anche in noi stessi; non siamo, ad esempio, dell’ “umore” giusto per festeggiare.

Abbiamo altro da pensare, siamo “occupati”, come diciamo così spesso, senza forse renderci conto di quanto sia rivelatrice di significati ulteriori e bivalenti quella locuzione che allude all’occupazione di territori da parte di chi li sappia conquistare.

Chi “ci occupa”?

Il nostro cuore da chi e cosa è “occupato”, occupato a tal punto che non vi trova posto la chiamata del Padre a vivere con lui, a vivere quella festa per le “nozze” del Figlio?

Diciamo spesso, anche, che siamo “presi”.

Come rapiti dal Mondo.

Come si fa, in queste condizioni, a pensare di partecipare ad una festa e, per di più, una festa nuziale?

Ma il re, il Padre, non ci pensa nemmeno a rinviare le nozze.

E’ tutto pronto, è l’ora, è venuta la “pienezza dei tempi”.

Se i primi chiamati non sono degni, si vada allora (ecco il secondo “ambiente”, la seconda scena che la telecamera può inquadrare) lungo la strada, le strade, nei luoghi in cui si snoda, scorre, il fiume della vita: che non è sempre e tutto gorgogliante di acque limpide, fresche, zampillanti e pure.

Ci sono buoni, cattivi, quelli che sono così così, e quelli ai quali la vita ha presentato un conto salato.

Il Padre chiama tutti, la chiamata alla santità è per tutti, la porta è aperta, il banchetto preparato: questa volta la sala si riempie, perché ad essere aperta è non soltanto la porta di casa, ma sono aperte anche le porte dei cuori.

Ce lo ha ricordato San Giovanni Paolo II nella celeberrima omelia in occasione dell’apertura del suo pontificato.

Era proprio il 22 ottobre ed il precedente 16 ottobre, è certo d’uopo ricordarlo, nell’anno 1978, 45 anni fa, fu eletto al Soglio di Pietro.

Cosa disse, dunque, il Papa:

“Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!

Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!

Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa”!

Parlò a, a tratti, voce alta, ancorchè sempre affettuosa, ad un mondo che forse non era preparato a sentire parole così, certo non se le attendeva, ma ad un mondo che non aveva bisogno d’altro, se non di parole così.

Chi ricorda quei momenti ricorda un’emozione intensa, la rivelazione di un orizzonte nuovo.

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Dunque, in quella sala, così come tra coloro che furono folgorati dalle parole del Papa in quel 22 ottobre 1978 (per contestualizzare: allora Don Stefano aveva 4 anni…) non ci furono santi: ci furono uomini e donne con i limiti e – come si dice oggi – fragilità della condizione umana.

Ma ci furono uomini e donne che, dalla strada, avevano scelto di aderire ad un invito che aveva saputo raggiungere il loro cuore.

Avevano aperto – anzi, spalancato – quella porta.

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Dunque, perché la sorte di quell’infelice, destinato ad essere smascherato, gettato là dove è pianto e stridor di denti?

E siamo alla terza scena, che fissa quell’abito che non c’è.

Perché nella sala preparata per la festa delle nozze di quel così unico Figlio, anche coloro che vengono dalla strada hanno scelto di “cambiare abito”, cambiare costumi, essere uomini e donne nuovi.

Che, sappiamo bene, non necessariamente significa riuscirci subito, né riuscirci sempre.

Ma significa che la scelta è quella: cambiare, convertirsi, non certo per compiere una sorta di “inversione a U” della nostra vita, ma per tentare una trasformazione, interiore, autentica, profonda.

In certo senso, per “connettersi” o “riconnettersi”, come fra poco sentiremo dire da Mons. Bedello nel proprio saluto.

Per conformare la nostra vita a Cristo.

Chi è in sala senza essersi “cambiato d’abito”, senza avere indossato l’abito “nuovo”, senza avere scelto la via nuova, con umiltà e consapevolezza del proprio limite, ma senza riserve, può solo vivere una partecipazione priva di costrutto.

Non può avere parole di verità.

E forse è proprio per questo che quell’ospite che pare – se è lecito il termine – un “imbucato”, ammutolisce.

E’ lecito pensare che, se l’Evangelista si preoccupa di dirci che “ammutolì”, è segno che stesse parlando, tentando di dire cose.

Sicchè, qualunque cosa stesse dicendo in quella comunità, evidentemente, non sarebbe stata una cosa utile: mancava, infatti, la conversione del proprio cuore.

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Forse sull’omelia siamo andati un po’ “lunghi”, ma, a proposito di comunicazione pastorale, non va dimenticato che è proprio questo il momento in cui la Chiesa si preoccupa di “spiegare” al popolo di Dio la Parola: e tutto ha senso se al centro di tutto ci sono la Parola e l’Eucarestia.

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Come abbiamo anticipato, sia l’omelia dell’Arcivescovo, sia l’intervento del nuovo Parroco sono integrali nel nostro video e sarà così possibile ascoltare ancora, nel tempo, entrambi.

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IL SALUTO DEL NUOVO PARROCO

Don Stefano, oltre ai ringraziamenti di rito, ha posto l’accento in particolare su tre “piani” lungo i quali si sviluppa l’esperienza di un Sacerdote.

Il Sacerdote come uomo, come Prete, come Parroco.

Ed in questo senso, con cenni sintetici, ha offerto alcuni tratti della propria esperienza umana.

Un “grazie”, dunque, come uomo a chi, soprattutto la famiglia, ha trasmesso valori educativi autentici e, primo tra questi, quello che, per essere uomo davvero, la prima scuola sia quella dell’umiltà.

Poi, il “grazie” del Prete, accolto in questo Presbiterio diocesano 14 anni orsono, consacrato dall’Arcivescovo Padre Enrico Masseroni ed ora, da Mons. Marco Arnolfo, destinato a questo duplice, impegnativo incarico, di Vicario Generale della Diocesi e di Parroco di Sant’Eusebio, la Parrocchia del Duomo di Vercelli e coordinatore dell’Unità pastorale che comprende anche Sant’Agnese, San Giuseppe e San Bernardo – Madonna degli Infermi.

Infine, il terzo “grazie”, quello del Parroco.

Un ringraziamento e, insieme, un chiaro intento “programmatico”, un “triplice intento”: fare bene, dire bene e stare bene.

Fare “il bene”, cioè orientare il cuore, di ciascuna persona e della comunità a Dio, al bene di Dio, che è la carità.

Dire bene, cioè “bene-dire” per portare la salvezza di Dio, per crescere insieme nella fede.

Stare bene, infine, non secondo il significato mondano dell’espressione, bensì nell’accezione evangelica, cioè restare ancorati al cuore di Dio, come i tralci alla vite.

Poi, rivolto ai parrocchiani, le parole forse più “forti”: mi metto al servizio, nel senso della collaborazione, per favorire la corresponsabilità.

I fedeli non sono riusciti a trettenere un più che motivato applauso “a scena aperta” quando Don Stefano ha rivolto un ringraziamento al suo predecessore, Mons. Giuseppe Cavallone, che fu altresì il Sacerdote forse più influente nel determinarne la scelta per assecondare una vocazione già ormai pienamente avvertita ed entrare così in Seminario.

Infine, l’esortazione forse più esigente: se siamo “disconnessi” – dice il Parroco – con noi stessi, disconnessi dalla nostra interiorità, non potremo essere “connessi” agli altri, tra appartenenti alla stessa comunità e, così, fare un cammino comune.

Un pensiero che pare in una sintonia chiara con la lezione agostiniana “non uscire fuori, rientra in te, solo nell’uomo interiore abita la verità”.

Insomma, un inizio che poggia su basi assai solide e promettenti.

Il nostro video si conclude, così, con una benedizione finale e con il canto davanti alla sacra effige della “Madonna dello Schiaffo”, che, così cara ai vercellesi, ci ricorda l’amore inesausto e sempre stupefacente della Madre di Dio per i propri figli.

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