Santa Messa della Notte, in questo Natale 2024 che il Rione Isola di Vercelli ha voluto vivere con un segno di speranza in più.
Davvero, una partecipazione di popolo che non si ricordava: ora le stime sono più semplici, si conosce il numero preciso di posti a sedere, nel Palapregnolato rimesso a nuovo con i recenti lavori di ristrutturazione, sicchè si può dire che il 24 dicembre sera ci fossero almeno 700 persone.
Certo, ad accogliere il Signore che viene, il Verbo che si fa carne, ma anche per dire che, dopo quattro anni nel corso dei quali, prima a causa del Covid, poi per lasciare lavorare il cantiere, questa bella tradizione si è interrotta, ora tutta la comunità vuole rinnovare un appuntamento tradizionale, ma soprattutto, ribadire la volontà di essere protagonista, tutt’altro che “isolata” dal resto di Vercelli.
Un momento davvero alto: chi ha partecipato certamente avrà colto tanti segnali incoraggianti.
Oltre alla partecipazione numerica, molti altri.
In primo luogo, la meticolosa preparazione che si deve alla collaborazione (si intuisce un lavoro di giorni) tra la Comunità pastorale affidata ai Salesiani (Isola, Belvedere, Caresanablot), il Comune, e tanti altri che il Parroco Don Claudio ha ringraziato in modo particolare: Don Gianni, Efrem Fedrigo e Angelo Cino, la Società Hockey Club Amatori Vercelli e i suoi volontari Francesco Lazzarin e Massimo Ferraris, i volontari della Parrocchia Francesco Formisano Maurizio Pramaggiore e Suor Samuela Bordone, la Croce Rossa Italiana – Comitato di Vercelli e gli addetti antincendio Atrap – Alessandro Nardella.Grazie agli Scout Vercelli che hanno animato la Veglia.
Destinatario dei ringraziamenti, non ultimo… anzi, l’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Marco Arnolfo, che ha presieduto la Celebrazione, di cui diremo meglio tra qualche riga.
Il filmato che possiamo offrire ai Lettori, anche per rinnovare così i nostri auguri, presenta dunque un momento di grande significato, per molti profili.
Ce n’è uno, certamente, di carattere “sociale”.
Ma non meno incoraggianti paiono gli aspetti più squisitamente pastorali.
Ha indicato la strada, Don Augusto Scavarda, che teneva tanto a questa Messa; aveva intuito che il messaggio più attuale di questo giorno stia proprio qui: il Signore viene dove l’uomo vive, dove sperimenta la quotidianità del suo transito terreno, dove realizza nel concreto il progetto che il Padre ha per ciascuno, ciascuno di noi.
Così va bene l’Eucarestia al Palazzetto, ha un significato profondo.
Profondo, ma capace di raggiungere senza difficoltà i cuori: tanto le parole di Don Claudio, quanto quelle dell’Arcivescovo – qualche indizio nel filmato – ricevono un applauso (certo non ricercato come tale) dalla gente.
Un altro dei “segni” che si possono cogliere è proprio in questa partecipazione: non solo per la consistenza numerica, ma anche per come l’assemblea ha vissuto la Liturgia. Con attenzione, compostezza, in un clima veramente di amicizia e di fraternità, lieta e cordiale.
Ancora un “segno”, questa volta tutto rappresentato dalla Liturgia: semplice, sobria, essenziale quanto correttissima per i profili formali, eppure capace di conquistare l’attenzione e soprattutto l’ascolto vero (impianto audio a parte, che qualche cilecca l’ha fatta. Ma, come ha celiato don Claudio, solo una piccola emergenza, ben diversa dall’emergenza che vissero Maria, Giuseppe ed il Bambino, rifugiati in una grotta).
Ma l’ascolto vero è quello del cuore e questo è stato pieno e sarà fecondo.
Infine, come abbiamo anticipato: ultimo, ma non per importanza, il “segno” offerto dal Magistero della Chiesa.
Dal 2014 conosciamo l’Arcivescovo Mons. Marco Arnolfo; possiamo dire incarni naturalmente il modo di essere Pastore insistentemente desiderato ed invocato da Papa Francesco.
Un’omiletica senza fronzoli, né sfoggi dottrinali (che pure potrebbe permettersi senza sforzo, solo a considerare la preparazione del Presule), che viene subito al “dunque”.
Omelia – un particolare in più, non certo che si stia lì con l’orologio, ma lo dice “Movie maker” – che il Vescovo ha contenuto in poco più di cinque minuti (anche in questo caso, come ancora recentemente ha consigliato il Papa a tutti i Sacerdoti), dicendo però tutto ciò che andava detto.
Un esempio per tutti (ma consigliamo di ascoltarla direttamente) a proposito di quella Luce venuta dal Cielo per illuminare l’oscurità dell’umanità, penetrandone soprattutto gli ingranaggi tenebrosi, gli ingranaggi di morte dei carri armati, ma anche “gli ingranaggi tenebrosi dei nostri ragionamenti a volte perversi che non sanno ascoltare, non sanno dialogare, non sanno provare solidarietà né fratellanza”.
Ha concluso la Celebrazione la benedizione finale, impartita con l’ostensione della sacra effige del Bambino Gesù, quel Verbo che era in principio e che è Dio.
Insomma, un bel momento, che ha fatto bene a tutti; ha fatto bene anche all’Isola ed alla città tutta.
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Poiché la Speranza è al centro dell’Anno giubilare appena iniziato ed anche perché l’Arcivescovo ne ha fatto un chiaro cenno, desideriamo lasciare qualche spunto di riflessione rappresentato a proposito di un tema sempre attuale: la differenza tra Speranza e ottimismo.
Ne ha parlato sin dai primi giorni del suo pontificato Papa Francesco, in occasione di un celebre discorso da Santa Marta nel 2013, poi è tornato sul tema numerose volte e da ultimo con la Bolla di indizione del Giubileo.
Ma, da punti di partenza differenti, anche una grande personalità della cultura laica, poi presidente della Cecoslovacchia, Václav Havel, giunge a conclusioni assonanti.
LA SPERANZA, QUESTA SCONOSCIUTA
(meditazione da Santa Marta)
Martedì, 29 ottobre 2013
«Paolo — ha poi proseguito — ci parla della speranza. Anche nel capitolo precedente della lettera ai romani aveva parlato della speranza. Ci aveva detto che la speranza non delude, è sicura». Tuttavia essa non è facile da capire; e sperare non vuol dire essere ottimisti. Dunque «la speranza non è ottimismo, non è quella capacità di guardare alle cose con buon animo e andare avanti», e non è neppure semplicemente un atteggiamento positivo, come quello di certe «persone luminose, positive». Questa, ha detto il Santo Padre «è una cosa buona, ma non è la speranza».
Si dice, ha spiegato il Santo Padre, che sia «la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita. La fede si vede, si sente, si sa cosa è; la carità si fa, si sa cosa è. Ma cos’è la speranza?». La risposta del Pontefice è stata chiara: «Per avvicinarci un po’ possiamo dire per prima cosa che è un rischio. La speranza è una virtù rischiosa, una virtù, come dice san Paolo, di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio. Non è un’illusione. È quella che avevano gli israeliti» i quali, quando furono liberati dalla schiavitù, dissero: «ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso e la nostra lingua di gioia».
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DALLA BOLLA DI INDIZIONE DEL GIUBILEO 2025 “SPES NON CONFUNDIT”
- La speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita.
Come ogni mamma, tutte le volte che guardava al Figlio pensava al suo futuro, e certamente nel cuore restavano scolpite quelle parole che Simeone le aveva rivolto nel tempio: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35). E ai piedi della croce, mentre vedeva Gesù innocente soffrire e morire, pur attraversata da un dolore straziante, ripeteva il suo “sì”, senza perdere la speranza e la fiducia nel Signore. In tal modo ella cooperava per noi al compimento di quanto suo Figlio aveva detto, annunciando che avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere»
(Mc 8,31), e nel travaglio di quel dolore offerto per amore diventava Madre nostra, Madre della speranza. Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Vergine Santa come Stella maris, un titolo espressivo della speranza certa che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto, ci sorregge e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare.
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Václav Havel (1936 – 2011)
«La speranza non ha niente a che vedere con l’ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno.»