La disgrazia consumatasi nei giorni scorsi al fiume Sesia, nei pressi del ponte ferroviario, dove ha perso la vita un giovane pakistano
ripropone ancora una volta il tema ed il problema della sicurezza e della prevenzione nell’ambito di un’area e lungo percorsi molto più frequentati di quanto spesso si creda.
Per domandarci se stiamo facendo tutto il possibile al fine di scongiurare il ripetersi di questi lutti, che paiono annunciati.
Fare un giro da quelle parti è forse la cosa migliore per rendersi conto di come stiano le cose.
Per ora, questo dicono le immagini.
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Quando si arriva ai piedi del ponte ferroviario, si può scegliere se andare a destra, lungo l’argine, oppure a sinistra, passando sotto il tunnel nella direzione di quello che un tempo era il simpatico ritrovo “Nascimbene”: quasi una trattoria, talvolta si ballava, era il riposo di chi pescava i ciprinidi nell’acqua amica del fiume.
Ma, se non si va né a destra, né a sinistra, si può scendere sul greto, in qualsiasi momento dell’anno.
Il sentiero che dall’argine scende verso il greto, superando i cubi di cemento armato a difesa delle sponde, è sbarrato da transenne metalliche, guarnite di una segnaletica verticale – un cartello di divieto di transito – che, secondo il mai mutato Codice della Strada, significa: qui i veicoli non passano.
I veicoli.
Sicchè, quel cartello, può apparire un paradossale “via libera” per i pedoni.
Eventualmente in compagnia del cane.
La prima domanda che i responsabili dalla sicurezza dei cittadini (autoctoni, residenti, oppure ospiti temporanei sotto le stelle di Piazza Mazzini) forse potrebbero porsi è: desideriamo che, in quel preciso punto, i pedoni possano passare, oppure no?
Che significa, anche e soprattutto: si può o non si può andare sulla riva del fiume?
Perché, così come stanno le cose, la risposta è semplice: la segnaletica inibitoria non vieta espressamente alle persone, a piedi, di passare di lì e, quindi, anche recarsi sulla riva del fiume.
Se si volesse indicare che i pedoni non possono transitare, la segnaletica appropriata sarebbe quest’altra.
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Chiarito, dunque, che recarsi sulla riva del fiume parrebbe possibile, resta il problema, fondamentale, della balneazione: si può fare il bagno nella Sesia?
Cioè: in quel punto della Sesia; vedremo poco oltre cosa si dica per altri passaggi lungo l’argine.
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Qui le cose sono più chiare.
Si viene a sapere che, nel lontano 1998, il Sindaco di Vercelli adottò un provvedimento di divieto di balneazione.
Al tempo era in carica Gabriele Bagnasco.
C’è qualche cartello che lo dica?
C’è.
Come si vede, è ai piedi del palo che un tempo forse lo sorreggeva.
Coperto dall’erba (non ancora alta come quella che guarnisce certi marciapiedi in città, ma certo abbastanza rigogliosa) che ne impedisce quasi la lettura.
O, meglio, riesce a vederlo chi lo cerca.
Se, una volta trovato, lo si legge, si nota subito che il linguaggio è tecnico-burocratico.
Ma, comunque, il problema della sua leggibilità viene dopo: bisogna cercarlo per trovarlo, il cartello (forse di 30 centimetri per 20).
Più sopra, si vede, però, un altro segnale verticale, questa volta appropriato, di divieto di balneazione, con il simbolo molto sbiadito, ma pur sempre abbastanza leggibile.
Sicchè, tirando le somme, chi conoscesse il Codice della Strada potrebbe concludere: si può andare sul greto della Sesia (a piedi, lasciando i veicoli sull’argine), ma non si può fare il bagno.
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Sono accorgimenti sufficienti per dire che si sia attuata una prevenzione efficace dei fattori più importanti di rischio?
A chi di dovere la risposta.
Soprattutto se si pensa che i destinatari reali e “odierni” (diverse le cose nell’ormai lontano 1998) di quelle comunicazioni simboliche non siano tanto o soltanto i nativi della Vercelli di quando c’era il Nascimbene.
Ma, come in questo caso, ragazzi che, certo, si sono magari fatti tutto il corridoio balcanico con le scarpe rotte o nella stiva di autocarri condotti da persone senza scrupoli, ma si tratta di ragazzi che non parlano una parola di italiano.
Sanno perfettamente l’inglese (insieme all’urdu, lingua ufficiale nel loro Paese), ma non una parola di italiano.
Si trovano nella situazione di tanti altri immigrati, abituali frequentatori della riva della Sesia, che parlano l’arabo e il francese.
C’è solo un cartello rotondo, con inscritta al centro l’immagine, stilizzata e sbiadita, di un nuotatore sovrastata da una sbarra che illustra il concetto di inibizione al nuoto.
E’ sufficiente per dire che si sia fatto il possibile per mettere sull’avviso le persone?
Per fare loro comprendere che il Comune vieta, nel loro interesse, di fare il bagno in quel punto della Sesia?
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Ai piedi del palo che sorregge il cartello, si nota, di passaggio, il solito cumulo di rifiuti portati forse da incivili, certo lasciati lì a marcire e mandare cattivi odori da menefreghisti strapagati.
Questo si vede se si raggiunge l’argine dalla stradina che costeggia l’ex Colonia elioterapica (a destra) e la ferrovia (a sinistra): perché se si percorre l’altro sentiero, quello che si snoda tra il compendio delle Acacie e quello del Piemonte Sport, quando si arriva sull’argine, in corrispondenza dell’altro sentiero che conduce al fiume (facendosi largo tra la vegetazione golenale, ma si può fare, come queste immagini dimostrano),
non c’è nemmeno questa segnaletica.
Se, ancora, si intende raggiungere la sponda opposta, percorrendo l’argine che si diparte dal noto accampamento, nei pressi del ponte stradale (direzione Novara) dove accorrono, di tanto in tanto, i Vigili del Fuoco per sedare fiamme notturne, allora i segnali inibitori sono del tutto assenti.
Unico deterrente, forse il più efficace, i cagnoni dei nomadi, che latrano all’inseguimento di qualsiasi “veicolo” transiti lungo lo sterrato: figuriamoci cosa potrebbero fare a un pedone, con o senza segnaletica verticale appropriata.