Sabato 25 febbraio nella chiesa parrocchiale di Valduggia è stato dato l’ultimo saluto a Patrizia Zaninetti.
Ha voluto partecipare alla celebrazione delle esequie anche Don Dante Airaga, che la conobbe nel 1963, quando fu istituita la scuola media unificata: fin da allora si dimostrò essere una ragazza vivace, intelligente, che amava il dialogo, votata ad una missione che l’avrebbe portata a diplomarsi infermiera.
Nel suo lavoro seppe essere “la mano calda sulla fronte del paziente”, perché la sua era stata una autentica scelta d’amore.
Patrizia, animata da una solida Fede, era solita partecipare alla Messa arrivando in anticipo e Don Dante ha ricordato i loro dialoghi in cui gli confidò la sua malattia, sopportata con dignità.
Il Sacerdote le fu sempre vicino, confortandola con preghiere e con alcuni versi di fede e speranza: “Qualcuno muore, è come / un coperchio di silenzio. / Se invece ci permettesse di ascoltare / la fragile musica di una vita che nasce?”.
A conclusione del commosso ricordo ha sottolineato che nella sua esistenza Patrizia aveva saputo seminare bene, e quindi lasciava dietro di sé un giardino fiorito.
E’ davvero passata leggera alla terra, coltivando il massimo rispetto per tutti gli esseri viventi.
Nell’ultimo periodo della sua vita, la malattia l’aveva avvolta in un mantello di cristallo, i suoi movimenti si erano rarefatti, ridotti all’essenzialità, quasi a proteggere un’interiorità di affetti profondi e di ricordi.
Consapevole di ciò che le stava accadendo, si è lasciata trasportare al di là del fiume, abbandonandosi con dolcezza, stanca di lottare, nella consapevolezza di avere accanto a sé Ennio, la persona con la quale aveva condiviso gli ultimi vent’anni, della quale si fidava, perché aveva sorretto i suoi passi senza giudicare.
Due solitudini si erano avvicinate per condividere un tratto di cammino, senza nulla chiedere l’uno all’altra, aiutandosi reciprocamente.
Patrizia era nata a Valduggia nell’aprile del 1952, aveva scelto di intraprendere gli studi di medicina: si era diplomata infermiera diventando poi a sua volta “monitrice” alla Scuola Infermiere.
Aveva lavorato all’Ospedale di Varallo e dal 1986, per trent’anni, era stata Caposala della Cardiologia.
L’amica e collega Claudia la ricorda come una persona professionalmente ineccepibile, severa con sè stessa e con gli altri, pretendeva la perfezione: “Patrizia ha sacrificato la vita al suo lavoro, ma sapeva anche essere allegra, ironica: con lei, che è stata mia testimone di nozze, ho condiviso tutto, a partire dalla scuola a Biella. Essendo due caratteri forti, spesso ci siamo scontrate, ma sempre ritrovate nell’Amicizia: mi restano tante belle risate insieme, liberatorie, sincere”.
Per un mandato sedette in Consiglio Comunale tra i banchi dell’opposizione, formulando le sue interpellanze in modo diretto, puntando sempre al cuore del problema.
La donna che ho conosciuto io era Pat, amava i gatti: la piccola Miù è ancora qui grazie a lei che la salvò.
Sempre gentile, riservata, era il punto di riferimento della quotidiana passeggiata in un momento difficile della mia vita: non chiese mai nulla, era semplicemente accogliente.
La sua salute declinò al punto da costringerla, alle soglie del Covid, al ricovero presso la Casa di Riposo Don Florindo Piolo di Serravalle, dove è stata accolta, accudita e apprezzata per la sua mitezza.
Adesso, che la pandemia era superata, si sperava in un tempo più sereno, in cui tornare agli abbracci e agli incontri nel bel giardino profumato di fiori, invece inatteso è arrivato l’istante del commiato.
Elegante, serena, composta, si è congedata dal mondo in modo discreto: le mani curate intrecciate in un rosario luminoso, poggiato sul petto un gattino nero di peluche, le labbra dischiuse in un sorriso per consolare chi resta qui.
Sei stata generosa con chi si affidava alle tue cure nei momenti dolorosi della vita e della malattia, non hai mai giudicato, i tuoi passi sono tornati leggeri sulle ali delle farfalle che ti hanno fatta volare nella nuova primavera.
Redazione di Vercelli