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Le testimonianze dei medici volontari

MONCRIVELLO SANTUARIO DEL TROMPONE - Cena povera, ma ricca di solidarietà - Tre occasioni di incontro, conviviale e solidale, al Santuario del Trompone ed in paese, per aiutare la missione Fondation Bethléem a Mouda (Camerun) gestita dai Silenziosi Operai della Croce - Tanti hanno ascoltato la vivida testimonianza di Don Thierry

Il Sacerdote che serve sia la comunità dei Silenziosi Operai della Croce, sia la Parrocchia di Borgo d'Ale, ha parlato soprattutto ai giovani

(testo di renato scotti – immagini di mirella nigra, lorenzo bisco e gabriele Bisco) – «L’elemosina, assieme alla preghiera e al digiuno – non solo dal cibo, ma anche come rinuncia a qualcosa per sé stessi per farne dono al prossimo – sono gli ingredienti fondamentali della Quaresima».

Lo ha ricordato il parroco don Alberto Carlevato alle cene povere quaresimale di beneficenza organizzate, anche quest’anno, nelle parrocchie di Villareggia, Mazzè e Tonengo, a lui affidate: tre cene povere pensate principalmente – ma non solo – per altrettanti destinatari: i bambini e i ragazzi del catechismo con le loro famiglie (14 marzo); le associazioni, i cori e i collaboratori parrocchiali (28 marzo); infine gli animatori, i giovani e i coscritti (3 aprile).

L’invito a partecipare a questi momenti comunitari è stato accolto da un numero davvero grande di persone, evidentemente desiderose non solo di trascorrere un momento di condivisione in un clima di sobria allegria, ma di contribuire anche e soprattutto al raggiungimento dell’obiettivo dell’iniziativa: raccogliere fondi per la missione Fondation Bethléem a Mouda (Camerun) gestita dai Silenziosi Operai della Croce.

A questo scopo hanno contribuito ottimamente le lotterie di beneficenza svolte al termine di ogni cena, magistralmente animate da don Alberto che ha saputo renderle, col suo usuale talento, coinvolgenti e divertenti.

L’iniziativa delle cene povere si è così dimostrata ancora una volta adeguata al senso del tempo quaresimale e l’importo raccolto sarà senza dubbio di grande utilità per le opere della Fondation Bethléem.

Dunque, un ringraziamento di cuore a tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito alla riuscita dell’iniziativa: ai partecipanti, agli organizzatori, ai cuochi, alle persone che con gentilezza ed efficienza hanno servito ai tavoli, nonché ai “Silenziosi Operai della Croce” di Moncrivello, che hanno ospitato le prime due cene, e ai proprietari e al personale del “Bar Trattoria Nazionale” di Villareggia dove si è svolta la terza cena.

La Fondation Bethléem a Mouda

Nel corso delle tre serate è stato proiettato un video realizzato presso la missione di Mouda.

In esso sorella Rosa, coordinatrice della Fondation e membro dei Silenziosi Operai della Croce, racconta in forma di intervista l’opera della Fondazione, facendo da sfondo alle immagini che sullo schermo mostrano la vita e le attività nella missione, musicalmente accompagnate dai balli e dai canti gioiosi della Chorale Voix Bethléem de Mouda.

Fondata nel 1997 da padre Danilo Fenaroli del Pontificio Istituto per le Missioni Estere (PIME), la missione Betlemme è gestita dal 2002 in collaborazione con l’Associazione Internazionale dei Silenziosi Operai della Croce (SODC).

Sulle orme del Beato mons. Luigi Novarese, fondatore dei SODC, la Fondation Bethléem intende «ridare all’uomo la sua dignità, qualunque sia il suo stato, anche in condizione di malattia».

Sono infatti accolte ed aiutate persone in condizione di povertà, sane oppure affette da handicap fisici e/o psichici, a prescindere dal loro credo religioso.

Molti sono i bambini, attualmente una cinquantina, con età variabile da poche settimane a due anni e mezzo, orfani o abbandonati dalle famiglie: fra le modalità di aiuto è possibile anche l’adozione a distanza.

La missione offre percorsi di scolarizzazione e corsi di avviamento professionali per aiutare i ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro.

I corsi mirano a fornire competenze nell’ambito della falegnameria, della lavorazione del ferro, della pittura e della scultura, della sartoria.

Su quest’ultima, in particolare, sorella Rosa si sofferma e sottolinea che «nel momento in cui le ragazze riescono a comprare una macchina da cucire, possono iniziare da subito a lavorare e a guadagnare per sostenere le proprie famiglie».

Pur coronata da evidenti successi, la strada è sempre in salita: sia per problemi di carattere economico, sia per una certa mancanza di attitudine, nel tessuto sociale, a motivare, spronare i ragazzi affinché proseguano il percorso intrapreso nella missione.

Molti ragazzi non riescono a trovare lavoro e ritornano alla Fondation: è un problema che si è pensato di risolvere istituendo borse di studio per consentire la prosecuzione degli studi all’università, magari in Italia, ma per attuare questo progetto occorrono ingenti risorse economiche.

Alla missione di Mouda si crede fermamente nella Provvidenza.

E la Provvidenza si manifesta non solo nelle persone che offrono aiuto economico, ma anche in coloro che offrono aiuto professionale: ad esempio, i fisioterapisti della struttura Virgo Potens di Moncrivello, gestita dai SODC, che periodicamente si recano a Mouda per tenere corsi di aggiornamento ai fisioterapisti locali che giungono anche dall’estremo nord della regione.

Sul finale della video-presentazione sorella Rosa ringrazia tutti i benefattori e chiede che non manchino preghiere per la missione e per chi vi opera, «perché la preghiera aiuta a comprendere le reali necessità del fratello accanto a noi».

Le testimonianze dei medici volontari

Presenti alle prime due serate alcuni professionisti sanitari che hanno svolto – per la prima volta o già da alcuni anni – attività di volontariato per alcuni mesi presso la Fondation Bethléem e che con i presenti hanno condiviso questa loro esperienza.

Le condizioni sociali a Mouda, come in buona parte del Camerun, sono di estrema povertà, con pesanti ricadute anche in ambito sanitario.

Molti bambini e ragazzi sono affetti da malformazioni che sarebbero certamente guaribili se curate in tempo e con mezzi adeguati.

Molte patologie sarebbero curabili e risolvibili con antibiotici che, però, scarseggiano.

Per una “banale” otite non curata molti bambini restano sordi. Molti bambini restano orfani perché le loro mamme muoiono per complicanze durante il parto o successive.

Nei bambini sono molto numerosi anche gli esiti di ustione dovuti alla caduta accidentale nei bracieri che sovente sono accesi nelle case.

L’uso frequente di abiti sintetici, facilmente infiammabili, contribuisce inoltre a causare ustioni molto estese.

Per ragioni in buona parte ancora sconosciute, sono molto diffuse le artrosi alla testa del femore che insorgono in persone giovani, addirittura già verso i 25-30 anni.

Molti i piedi torti dovuti all’assenza di diagnosi precoce.

Gli interventi chirurgici sono svolti nell’ospedale di Maroua, a circa 30km da Mouda.

Le sale operatorie sono precarie, prive di strumentazione per l’attuazione di un piano d’emergenza nel caso di imprevisti durante un intervento chirurgico.

Le figure professionali sanitarie determinanti a Mouda sono principalmente quella dell’ortopedico e del fisioterapista.

Ma c’è necessità anche di ginecologi, nonostante in questo ambito l’attività sia per lo più ambulatoriale: c’è una richiesta crescente di visite e di cure per l’infertilità che, per convinzioni radicate nella cultura locale, si tende erroneamente a credere riguardi solo le donne, mentre invece non è affatto così.

Difficoltà e precarietà non sono state però l’unico elemento comune nelle vicende narrate dai medici: tutti hanno testimoniato di come la Fondation Bethléem sia un luogo che dà dignità alle persone.

Si resta stupefatti nel vedere bambini sani e sordomuti, a scuola, nella stessa classe, comunicare con il linguaggio dei segni fra loro e con l’insegnante.

Si percepisce un’umanità alla quale “da questa parte del mondo” non siamo più abituati: chi ha di più (e il “di più” è spesso molto poco) spontaneamente aiuta chi è maggiormente in difficoltà.

E questo aspetto – lo osservava in un suo scritto anche il fondatore, padre Danilo Fenaroli – è in felice contrasto con la mentalità comune che, invece, tende marginalizzare i più vulnerabili.

La testimonianza di don Thierry

Al termine della terza serata, rivolta principalmente agli animatori, ai giovani e ai coscritti, don Thierry Aime Tomo – sacerdote dei Silenziosi Operai della Croce, classe 1984, attualmente in servizio presso il centro di Moncrivello e nella parrocchia di Borgo d’Ale – ha consegnato ai ragazzi e ai bambini un’esortazione: nel momento delle grandi scelte non ritenersi “autosufficienti”, ma confrontarsi sempre – e, se necessario, “scontrarsi” – almeno con i propri genitori, anche quando non condividono il cammino che si intende intraprendere, affinché le scelte siano davvero ponderate e non affidata al caso o dettate da ragionamenti superficiali o di comodo.

«Ho studiato in Camerun e da bambino volevo fare il calciatore», ma spesso, confessa don Thierry, «saltavo scuola, senza dirlo a miei genitori, e andavo a giocare a calcio». Venutolo a sapere e avendo tentato invano di convincerlo a frequentare regolarmente la scuola, i genitori di don Thierry ritengono che l’unica soluzione sia mandarlo a studiare in seminario, «non perché mi facessi prete, ma perché in questo modo sarei stato costretto a studiare».

In seminario don Thierry non gioca a calcio, ma studia, partecipa alla Messa quotidiana, presta servizio come chierichetto… e poco alla volta sente crescere dentro di sé la vocazione al sacerdozio.

Decide di intraprendere questa strada, ma compie questa scelta da solo, senza consultarsi con i genitori, mettendoli al corrente solo dopo essere divenuto seminarista.

Seguono anni difficili: i genitori di don Thierry, ritenendo che il figlio li abbia esclusi dalla sua vita, si dimostrano ostili, non vanno a trovarlo in seminario, stentano a parlargli quando, due o tre volte l’anno, torna a casa per le feste.

Don Thierry si sente in colpa e nascono in lui dubbi sulla bontà della vocazione sacerdotale.

Il rapporto con i genitori si riallaccia solo quando mamma, papà e don Thierry riescono finalmente, e non senza sforzo di volontà, a parlarsi, a comprendersi e a perdonarsi.

«Parlate sempre con i vostri genitori», esorta don Thierry rivolgendosi ai ragazzi, «non abbiate paura a parlate con loro di tutto».

Sappiamo bene che in una delle fasi più delicate dell’esistenza – quando si attraversa quella “terra di mezzo” nella quale non si è più bambini ma non si è ancora pienamente adulti, quando il cuore che trabocca di desiderio per l’Infinito quasi si schianta contro la finitezza dell’umano – il rapporto genitori-figli spesso si complica, sembra quasi che gli uni e gli altri non possano capirsi o addirittura non vogliano farlo.

Beninteso, questo può accadere per le più svariate ragioni anche in altri momenti dell’esisenza.

Proprio per questo don Thierry insiste ed esorta nuovamente i ragazzi, ma anche i genitori presenti in sala:

«parlate sempre con i vostri genitori, sforzatevi di capirli; ma anche voi, papà e mamme, sforzatevi di capire i vostri figli e parlate con loro. Non riducetevi a mandarvi messaggi sul telefonino da una stanza all’altra della casa!»

Infine, rifacendosi alla video-testimonianza di sorella Rosa, don Thierry invita a prendere realmente consapevolezza del fatto che vi sono ancora regioni del mondo nelle quali una famiglia periodicamente resta per 2-3 giorni, o anche più, senza cibo. Qualcosa che a cui noi possiamo credere, un poco immaginare, ma che noi, qui, non sperimentiamo.

Un gesto concreto di aiuto, magari piccolo per noi, è un aiuto grande in luoghi come Mouda e può contribuire a salvare una vita.

Ma la carità, quella autentica e che dà frutto, quella che serve l’uomo nella sua interezza «per ridare all’uomo la sua dignità, qualunque sia il suo stato» (prendendo a prestito le parole di sorella Rosa), non nasce che dalla Fede e dalla Speranza intese come virtù teologali, infuse nell’uomo dalla grazia del Dio trinitario, che vivificano le virtù cardinali rendendole riverbero verso il prossimo dell’amore che Dio ha per ogni essere umano.

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