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Hanno parlato di lui soprattutto le lacrime che solcavano i volti di tante persone, tra le tantissime che questa mattina, 29 ottobre, sono convenute a Vercelli in Cattedrale per l’ultimo saluto a Mons. Eusebio Viretto, Parroco della parrocchia intitolata al Santissimo Salvatore e Canonico del Duomo.

La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta dall’Arcivescovo Mons. Marco Arnolfo; con il Vicario Generale, Mons. Stefano Bedello, il Presbiterio diocesano pressochè al completo.

***

Una vita, quella di Don Eusebio, interamente donata a Dio e spesa per i giovani e per la Chiesa eusebiana, che ha profondamente e senza afasie amati di un amore sincero, discreto e profondo.

Impossibile rintuzzare i ricordi, anche personali, che inevitabilmente oggi si affacciano.

La sua esperienza pastorale si è in gran parte inverata nella Parrocchia di San Salvatore che, non soltanto in ambito ecclesiale, ha rappresentato ed ancora oggi in parte rappresenta uno spaccato sociologico di un quadrante della città che nasceva e poi ri-nasceva, tra il 1937 (l’ha ricordato anche Mons. Marco Arnolfo nel corso della splendida omelia che si può riascoltare nel filmato messo a repertorio) e gli anni del Secondo Dopoguerra.

Parrocchia che ha vissuto ed in qualche modo “tenuto insieme” il tessuto sociale nel momento di una nuova urbanizzazione, cresciuta più spontaneamente che programmata, soprattutto nel contesto di quella che si sarebbe poi sempre chiamata “zona Ospedale”, sorta attorno al grande Nosocomio inaugurato nel 1962.

Una  realtà composita e plurale, che sperimenta anche per la prima volta l’arrivo a Vercelli di famiglie provenienti dal Sud Italia, l’osmosi tra ceti sociali differenti capaci di originare, con l’equilibrio possibile, una borghesia ed un ceto medio che si sarebbero riconosciuti naturalmente nell’ambiente e nelle opere parrocchiali, di cui era sintesi e, ad un tempo, ispiratore persino profetico nella sua smisurata e sapiente carità, una personalità del tutto superiore all’ordinario come il parroco del tempo, Don Nicola Rulla.

In quell’ambiente parrocchiale crebbe il giovane don Eusebio (in calce al testo una breve sintesi biografica) che subito ebbe un ruolo centrale nell’organizzare l’Oratorio, insieme alle insostituibili Suore “Pianzoline” (Suore Missionarie della Regina della Pace, la Congregazione fondata da Don Francesco Pianzola a Sartirana Lomellina); ne ricordiamo due, Suor Fiorangela e Suor Emma, purtroppo non sovvengono ora i nomi delle altre, ma i volti e le parole restano di tutte indelebili nel nostro cuore.

La parrocchia, l’oratorio, la comunità delle Consacrate si rivelarono ben presto anche capaci di svolgere una funzione essenziale, non soltanto per i profili assistenziali, comunque importanti (perchè i bisognosi erano comunque molti, anche negli anni del boom economico e quando sorgevano come funghi i condomini che ancora oggi abitiamo), ma anche e soprattutto per la loro capacità di ascolto, di mediazione, di assistenza spirituale.

L’esperienza pastorale di Don Eusebio nasce e si forma lì, dove si sarebbe, per il disegno di una Provvidenza sempre misericordiosa anche quando i suoi disegni sono ai nostri occhi misteriosi, conclusa poco prima dell’alba di questo 27 ottobre.

***

Oggi abbiamo udito, tra le testimonianze portate in Duomo, ricordare dalla giovane Silvia Trinchitella (con lei Patrizia Jorio, Gabriele Concina, Tommaso Di Lauro) il suo “nick name” coniato affettuosamente per lui dai ragazzi, animatori, catechisti, in quest’ultimo e non breve tratto della sua vita: “Bio”.

E’ l’ultima sillaba del nome Eusebio.

Ai primi tempi del suo servizio in Oratorio, con Don Rulla, di cui era Vice Parroco, lo chiamavamo semplicemente “Vice”.

Tra Vice e Bio, una vita spesa per noi e per la Chiesa.

Non solo per noi, naturalmente: come abbiamo detto, la sua biografia contempla anche l’esperienza di Parroco a Casaleggio ed incarichi diocesani.

Abbiamo visto come, quella sorta di laboratorio sociale e, certo anche, sociologico che fu la parrocchia di San Salvatore a Vercelli, abbia avuto un ruolo a nostro avviso determinante nel suscitare nel giovane sacerdote una sensibilità particolare per i problemi dal mondo del lavoro, della marginalità sociale, dell’accoglienza e dell’integrazione.

Ne ricordiamo le pacate, ma appassionate e mai improvvisate riflessioni in seno alla Commissione diocesana per la Pastorale del mondo del lavoro, le cui riunioni si tenevano un tempo presso l’Istituto delle Suore di Loreto.

Dove dispensava un vero e proprio magistero della carità un altro “gigante” della Chiesa eusebiana, come Suor Rosalia Morello.

Carità esigente, perché chi avesse mai pensato di portare in quella sede interventi rimediati, senza che fossero preceduti da uno studio attento della dottrina sociale della Chiesa, non avrebbe evitato tirate d’orecchie caritatevoli, sì, ma severe.

Nel corso dell’omelia di Mons. Arnolfo si può ascoltare come Don Eusebio, nel giorno precedente la sua dipartita, avesse preparato un indirizzo di saluto proprio per la festa d’inizio anno catechistico, prevista per domenica mattina.

Anche questo un segno di rispetto e di affetto: amava prepararsi, non voleva riservare ai suoi ragazzi, né a nessun altro, cose improvvisate, tanto meno all’inizio di un nuovo percorso educativo.

Ci sia permesso, infine, ricordare – leggi qui –  dopo gli anni giovanili,

quando in Via Parini lo chiamavamo “Vice”, il momento dell’inaugurazione della attuale sede di VercelliOggi.it, nel dicembre 2013, quando lui acconsentì volentieri a benedire i nostri locali, condividendo con noi un momento lieto.

***

Ma ecco qualche nota biografica, come messa a fuoco stamane da Mons. Giuseppe Cavallone.

Don Eusebio nasce a Moncrivello il 16 novembre 1945.

All’età di 11 anni entra nel Seminario minore diocesano, che è proprio nello stesso paese.

E’ ordinato Sacerdote il 18 maggio 1971.

Dal 1970, ancora Diacono, al 1979 è Vice Parroco di San Salvatore.

Dal  1980 al 1987 è Parroco di Casaleggio (Novara).

Dal 1987 al 1992 è Vice Rettore del Seminario Maggiore di Vercelli.

Dal 1 novembre 1992 ad oggi è Parroco del SS. Salvatore a Vercelli.

Dal febbraio 2021 è Canonico del Duomo.

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Ger 31, 7-9

Dal libro del profeta Geremia.

Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe,
esultate per la prima delle nazioni,
fate udire la vostra lode e dite:
“Il Signore ha salvato il suo popolo,
il resto d’Israele”.
Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente:
ritorneranno qui in gran folla.
Erano partiti nel pianto,
io li riporterò tra le consolazioni;
li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua
per una strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».

Sal.125

RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si aprì al sorriso,
la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.

  RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Allora si diceva tra i popoli:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.

  RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Riconduci, Signore, i nostri prigionieri,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà con giubilo.

  RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Nell’andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.

  RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Eb 5, 1-6

Dalla lettera di San Paolo Apostolo agli Ebrei.

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l’ordine di Melchìsedek».

Mc 10, 46-52

Dal Vangelo secondo San MarcoIn quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURE DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA

La strada diventa via di vita

(Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52)

Gerico, oasi tra il deserto montuoso della Giudea e le rive del Giordano, è l’ultima tappa di Gesù verso Gerusalemme (poco meno di trenta chilometri) prima della passione.

Qui compie l’ultimo miracolo per un uomo conosciuto come Bartimeo, nome in parte ebraico “bar”, che significa: figlio e in parte greco: Timeo.

Figura centrale del vangelo, questo uomo cieco, siede lungo la strada a mendicare.

Inchiodato ai margini della vita, trascorre molto tempo sulla strada, unico luogo per la possibilità di una sussistenza legata alla pietà di chi gli passa accanto.

Quel giorno Bartimeo si accorge che qualcosa di diverso dal solito sta accadendo, sente il rumore, il vociare della gente che passa accalcandosi attorno a Gesù.

Bartimeo probabilmente avrà chiesto cosa stesse avvenendo e saputo che passava Gesù Nazareno incomincia a gridare; limitato dalla sua cecità, non ha altro mezzo che quello di sovrastare il rumore della folla con la sua voce per raggiungere Gesù.

E’ bella la prontezza di quest’ uomo che spera a dispetto di tutto e di tutti nella possibilità di un futuro migliore, un desiderio intenso che diventa grido di preghiera:

“Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Il termine pietà in ebraico ha un ampio significato che comprende anche la tenerezza, l’amore, l’hesed di Dio per il suo popolo, la fedeltà alla sua alleanza promessa e stabilita per sempre.

Bartimeo invoca pietà da Gesù che riconosce come Messia, lo chiama infatti figlio di Davide, che è un titolo messianico.

Il suo grido è quindi al tempo stesso anche un atto di fede nel Messia, che come annunciato dai profeti viene per dare ai poveri la liberazione, agli afflitti la gioia. 

Bartimeo non si lascia intimorire dai rimproveri della gente che gli ordina di tacere, di non dare fastidio, di restare nell’ombra (e nel buio della sua condizione), ma anzi grida ancora più forte sperando pietà e soccorso da Gesù che passava risanando e beneficando tutti.

Gesù udendo quel grido insistente e crescente si ferma, egli, buon samaritano che non passa oltre il dolore dei fratelli, ma ne ha compassione e cerca di alleviarlo.

“Chiamatelo!”, dice Gesù a chi lo sta seguendo, insegnando così ad avere compassione e a non soffocare il grido del povero.

Ed ecco che le minaccia dei rimproveri si cambiano in parole di incoraggiamento: “Alzati, ti chiama!”.

Bartimeo balza in piedi come chi sente vicina la sua salvezza, getta via il mantello che era la sua sola ricchezza per raggiungere più velocemente Gesù.

Gesù, la Luce che viene nel mondo, di fronte a quest’uomo cieco chiede:

“Cosa vuoi che io faccia per te?”

e l’uomo subito, rivolgendosi al Signore con il nome di Rabbunì, “maestro mio”, domanda con fede di poter tornare a vedere.

Egli che aveva accesa nel cuore la luce della fede, viene guarito e torna a vedere anche con la luce degli occhi.

E i suoi occhi vedendo per primo il volto di Cristo, non desiderano più altro che di seguirlo; la strada da luogo di emarginazione diventa via della vita.

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza   

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Meglio impiegare bene questi ultimi giorni di apertura dell’evento “Extra” (in San Vittore a Vercelli, fino al 27 ottobre), giunto alla settima edizione e, in questo 2024, portatore di iridescenze davvero inedite (leggi qui l’articolo di presentazione).

Non è frequente, infatti, a Vercelli, sentire evocare suggestioni proprie del Giappone che vive l’epopea dei Samurai, quando nei secoli più significativi (XIV – XVII) nella storia di questa casta di guerrieri, dai codici d’onore così assonanti con la Cavalleria europea, si sviluppa e diventa paradigma di un’identità il rapporto tra uomo e cavallo.

Dalla figura quasi leggendaria di Kusunoki Masashige (1294-1336) a quella del Capitano Federico Caprilli (1868-1907), cosa suggerisce analogie ed echi tra il Paese del Sol Levante e la nostra regione, ai tempi in cui il giovane ufficiale approdava al Reggimento di Cavalleria “Piemonte Reale” e poi alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo?

Il fil rouge può essere rappresentato dall’idea guida della Casa automobilistica giapponese di Fuchū, la Mazda Motor Company: sfida le convenzioni.

E la ricerca della qualità, il gusto per le soluzioni innovative, che contraddistinguono le vetture di questo marchio capace di guardare oltre il moderno e soprattutto oltre le mode, ha radice proprio in questo substrato culturale.

***

Quello tra uomo e cavallo è sempre stato un rapporto intenso, mai banale, talvolta totalizzante, persino “dialettico”, certo possibile solo cercando un’ “intesa”.

Un “insieme”.

Uomo e cavallo non solo “stanno” insieme, ma “sono” un insieme.

Lo sapevano gli antichi Samurai che praticavano il “Bajutsu”, l’arte dell’equitazione militare, fondata proprio sull’ “insieme”, sull’armonia e l’equilibrio anche delle capacità coordinative tra due creature che reciprocamente condividono un obbiettivo.

Lo aveva intuito il Capitano Caprilli, universalmente riconosciuto come il padre dell’equitazione moderna, fondata sul “metodo naturale”, cioè sul ribaltamento di 180 gradi delle convinzioni e delle tecniche per secoli praticate dalla cultura militare europea, orientate alla costrizione del cavallo, per mettere in luce le potenzialità di soluzioni e assetti rimessi piuttosto all’adesione di equilibri, all’assecondare, seguire, con quelli dei cavalieri, i movimenti ed i dinamismi del cavallo.

Sicchè, venire a sapere che in Giappone c’è una Casa automobilistica primaria nel mondo, che ha sempre creduto sia nella sfida alle convenzioni, sia nella ricerca di un equilibrio, soprattutto in senso ergonomico, tra uomo e automobile, con l’idea di “costruire”, il mezzo “attorno” al conducente, al passeggero – proprio come in un “insieme” – è qualcosa che non si sarebbe forse mai saputa senza l’iniziativa di Extra e di Mazda Motors Italia, a Vercelli rappresentata dalla Nuova Sa-Car di Angelo Santarella.

Perché questa iniziativa?

Perché Mazda, nel proprio intento di condividere e valorizzare le esperienze più significative di un Paese – non solo di un mercato potenziale – in cui vuole proporsi come interlocutore e crescere, ha ideato l’iniziativa “Eccellenze italiane”.

La ricerca, in ogni territorio, di ciò che ne costituisce la cifra, l’espressione identitaria, il “genius loci” (sive mas sive foemina, of course).

***

Da qui a fare due più due il passo può essere breve.

L’occasione di Extra, a sua volta contenitore ormai (giunto alla settima edizione) non più sperimentale di “contaminazioni” tra arredamento ed arte ha rappresentato l’ideale punto di incontro tra la filosofia Mazda, l’ormai nota disponibilità a sostenere le iniziative del territorio di Nuova Sa-Car, e l’intervento di un artista capace di tradurre in forme inedite e simbolicamente eloquenti ciò che questo caleidoscopio di sentimenti suggerisce.

Così, ospite d’onore di Extra e dell’edizione vercellese (vedremo che in proposito c’è un concorso nazionale ideato da Mazda: speriamo di piazzarci bene) di “Eccellenze Italiane” è un artista innovatore, non nuovo a quella “sfida delle convenzioni” che tanto appassiona.

Parliamo di Daniele Basso.

Di sé e della scultura “da viaggio”, “Me-Germogliare”, che ha realizzato per questa occasione, parla lui stesso nel video che abbiamo messo a repertorio grazie alla collaborazione di Serena Mormino, “regista” di tutto l’evento che – va detto almeno per inciso – ha avuto anche il merito di presentare e valorizzare i tre finalisti della 74.ma edizione del Concorso Viotti, quest’anno, nel II centenario dalla morte di Giovan Battista Viotti, riaperto alla prova di Violino.

Ora soltanto una breve sintesi.

Daniele Basso, nato a Moncalieri nel 1975, vive e lavora a Biella.

L’artista, è noto a livello internazionale soprattutto per i lavori in metallo lucidato a specchio.

Opere che inducono una maggiore coscienza di noi stessi nella ricerca della nostra identità. Ha partecipato a tre edizioni della Biennale d’Arte di Venezia, con mostre e opere in diverse parti del mondo, tra cui Carrousel du Louvre (Parigi), Museo del Parco di Portofino, Università del Seraphicum (Vaticano), GNAM (Roma), Expo 2015 (Milano), World of Coca Cola (Atlanta) e in gallerie a New York, Dubai, San Pietroburgo, Tel Aviv, Monte-Carlo, Lugano, Milano, Torino Bologna. Membro del cda dell’Associazione Biella Città Creativa UNESCO speaker TEDx. Nel 2022 le opere Vibrante Leggerezza (90° Bemberg-Asahi Kasei) e Insieme (Yukon) e la mostra personale Le Pieghe dell’Anima al Santuario di Oropa Biella. Oggi le sue opere sono da Artion Gallery, Galerie Sept, Simon Bart, Hysteria Art, Galleria Ferrero Cris Contini Contemporary.

***

Col mio lavoro –  dice Basso – cerco di esplorare il senso ed il significato delle cose. Ogni opera esprime un messaggio. L’obiettivo è generare una riflessione. Indurre cioè le persone ad una maggior coscienza di sé, personale e collettiva. Le sculture diventano simboli e monumenti in cui riconoscerci, non solo come individui, ma soprattutto come componenti di una collettività unica e distintiva. Di cui essere orgogliosi. I cui valori sono da custodire come parte della nostra identità. Da qui l’interazione del mio lavoro con le aziende, espressione pura del Genius Loci e custodi del know how e della cultura che distingue i territori nel mondo. Attraverso la ricerca della bellezza cerco appigli concreti ed emozioni positive, per stimolare le coscienze all’immaginazione, al sogno ed al progetto di un futuro migliore!“.

Cos’è, dunque, Me-Germogliare?

Ispirato alle sculture portatili di Bruno Munari, molto vicino alla cultura giapponese, il progetto Me – Germogliare esprime tutta la sua forza nel concetto della condivisione, sia come attitudine mentale che come atto fisico.

Il pensiero e la cultura che Mazda rappresenta nel settore automotive diventano “seme” di messaggi e contenuti profondi, che nelle opere portatili, popolano le scrivanie ed ispirano più persone possibile all’eccellenza. Un concetto ponte tra il Giappone della tradizione artigiana, che progetta con emozione, il territorio Vercellese con la coltivazione del riso, e il territorio Biellese con la lavorazione della lana.

Un progetto dove la dimensione è in subordine al contenuto. Dove il vuoto è pieno.

Dove il dubbio prevale… Perché il primo passo non ti porta alla meta, ma ti sposta da dov’eri. Verso equilibrio e armonia, anche con la natura. Dimensioni dinamiche non assolute, e che siamo chiamati a trovare per noi stessi.

L’opera, molto piccola e prodotta il 104 pezzi, è composta da due forme circolari che ospitano due composizioni simboliche: una dinamica nel rispetto della natura, trend ormai confermato del mondo automotive, l’altra liquida come la società e come l’acqua che unisce Vercelli a Biella, che si trasforma centralmente in un occhio, ad esprimere la centralità della scelta come atto soggettivo supremo attraverso cui l’uomo diventa protagonista della propria vita.

Due elementi da piegare a mano, fino a trovare l’equilibrio per poterli appoggiare, affermando l’unione tra pensiero e azione quale via privilegiata per il fare artigianale d’eccellenza.

Due elementi eterei nella forma che, posti l’uno di fronte all’altro, fanno del vuoto il fattore espressivo del messaggio, in modo che il contenuto ed il significato superino la misura della materia nella definizione del valore dell’oggetto. Che così diventa oggetto del cuore, aiutandoci a riscoprire l’essenza spirituale della vita.

Me-Germogliare è un’opera in cui passato e futuro si sovrappongono nel presente, fatto di sfide e progetti da realizzare, per ispirare una vita coraggiosa verso un mondo migliore”.

***

Seguiamo allora nel nostro filmato Serena Mormino, Daniele Basso, Angelo Santarella.

E poi, fino a domenica, non dimentichiamo di visitare Extra, che accoglie i visitatori ad ingresso libero.

Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Is 53,2.3.10-11

Dal libro del profeta Isaia.

Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.

Sal.32

RIT: Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.

Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

  RIT: Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

  RIT: Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

  RIT: Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.

Eb 4, 14-16

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Mc 10, 35-45

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO ‘MATER CARMELI’ DI BIELLA

Il suo amore per noi

(Is 53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45)

Continua l’insegnamento di Gesù sulla cultura del Regno.

Egli lo annuncia, lo spiega, lo propone e lo attua di continuo in parole e opere concrete di ogni giorno.

Dirigendosi a Gerusalemme (città eletta da Dio per il suo popolo e prefigurazione di quella celeste che quaggiù Egli stesso va costruendo), Gesù prende nuovamente i Dodici in disparte per dire loro ciò che là gli sarebbe accaduto.

Allora udendo ciò, Giacomo e Giovanni, gli si avvicinano, portando nel cuore un sogno più grande di loro.

Gesù è un vero maestro: saprà di certo come realizzarlo per loro! Dapprima egli li interroga, come fece la prima volta quando li invitò a seguirlo.

«Cosa cercate, cosa volete che vi faccia?».

Infatti la loro richiesta è esigente, ma sincera: essere come il Maestro! Essere grandi, apprezzati, ricercati, necessari ed entusiasti perché anche i demòni si sottomettono a loro (Lc 10,17).

 «Voi non sapete quel che chiedete»,

risponde loro Gesù.

Per aiutarli a riorientare il loro sogno devono comprendere che ciò che cercano lo ottengono coloro che si preparano umilmente e quotidianamente a riceverlo.

Come? Rimettendoci persino la vita pur di riconciliare tutti nella bontà di Dio.

Gesù l’ha fatto per ogni essere umano perché vuole la nostra amicizia. Dunque è nel nostro e altrui interesse ascoltarlo in ciò che ci domanda.

Pensiamoci, prima di giudicare che quanto ci chiede è troppo amaro! 

Dio ti guarda personalmente, chiunque tu sia, ti chiama per nome.

Ti vede, ti comprende perché ti ha creato.

Sa quello che passa dentro di te, conosce ogni tuo sentimento e pensiero, le tue inclinazioni e le cose che ti piacciono, la tua forza e la tua debolezza.

Tu non sei solo una creatura della sua sapiente e meravigliosa creazione – sebbene Lui ha cura perfino degli uccelli del cielo – tu sei un uomo redento e santificato dall’opera che Gesù Cristo ha compiuto per riscattarti da questo mondo disorientato e condizionato dal male.

Ma tu per grazia sei suo figlio adottivo, coerede e partecipe di quella gloria e gioia che fluisce da lui eternamente nel Figlio Unigenito.

Tu, infatti, sei stato scelto dall’eternità per essere suo.

Tu sei uno di quelli che Gesù include da sempre nella sua preghiera, nella gioia e nelle afflizioni. Afferriamo questa Verità, lasciamoci stupire e chiediamoci che cos’è l’uomo, cosa siamo noi, che cosa sono io, perché il Figlio di Dio «si curi di me?» (Sal 8,5).

Cosa sono io per lui perché mi abbia creato di nuovo per fare del mio cuore la sua dimora?

Siamo il suo tesoro, ciascuno è una perla preziosa che lo compone. Dio ci ama sul serio, perciò fidiamoci di lui quando dice: «Sedere accanto a me nella gloria è per coloro per i quali è stato preparato».

Vediamoci tutti invitati e lasciamoci preparare da lui ogni giorno col dono semplice e fiducioso della nostra esistenza.

Perché Dio ci ha amati per primo, perdonandoci tutto.

Ci ha riscattati dal potere del male e della morte.

Servirlo è ringraziarlo per questo.

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza     

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Lungosesia Est, Vercelli Città

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Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Sap 7, 7-11

Dal libro della Sapienza.

Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

Sal.89

RIT: Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.

Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

  RIT: Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti,
per gli anni in cui abbiamo visto il male.

  RIT: Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.

Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e il tuo splendore ai loro figli.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.

  RIT: Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.

Eb 4, 12-13

Dalla lettera agli Ebrei.

La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.

Mc 10, 17-30

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre””.
Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”. I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: “Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?”. Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”.
Pietro allora prese a dirgli: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Gesù gli rispose: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

“Stimai un nulla la ricchezza al suo confronto (prima lettura), ma che cosa è la ricchezza? Il libro della Sapienza enumera le “ricchezze” dell’uomo, le “cose luccicanti” che abbagliano: troni, denaro, scettri, gemme preziose, oro, salute, bellezza… e questo al tempo della monarchia in Israele, oggi noi potremmo ancora aggiungere… automobili di lusso, yacht, ville e magioni, miliardi di euro, prestigio, potere, i.a. a disposizione… e chissà ancora che cosa altro.

Ma “nulla la ricchezza al confronto”.

La Sapienza e la Prudenza ecco la vera ricchezza.

Sapienza e prudenza fanno riconoscere l’ Essenziale, sono la “guida” per la ricerca di una vita “ricca”, non una “vita di ricchezza”.

Dio concede la sapienza e sapienza è fare la volontà di Dio.

Come Salomone che, in Gabaon, aveva chiesto a Dio il “dono” della Sapienza (1 Re 3).

Sapienza e prudenza per saper “leggere” il nostro cuore e quello degli altri, sapienza per saper “discernere” e “camminare”, oltre la ricchezza, oltre la bellezza, oltre il potere, prudenza per essere coraggiosi nelle scelte.

Sapienza… ricercata, anelata, rincorsa, richiesta… e san Paolo non ha esitazioni: la Sapienza è nella Parola di Dio (seconda lettura). “La parola di Dio è viva, efficace … penetra  … e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.

La Sapienza che sa discernere i pensieri.

Promessa mantenuta.

Il progetto “sapiente” di Dio per l’uomo: l’Alleanza con l’uomo.

La “proposta” di Dio per l’uomo.

Dio “si propone” e lo fa con un “incontro” per ciascuno.

Incontri e storie nella storia.

Storie di sapienza e di scelte, storie di libertà.

E Marco ci racconta una “storia”, mentre Gesù “sale” a Gerusalemme con i suoi discepoli (Vangelo).

“Un tale”

“Un tale”: senza nome.

Così preoccupato di contare le sue ricchezze che ha dimenticato il suo nome.

Senza nome, così “affascinato” dalla ricchezza che non ha più “nome”.

“Un tale”: lo sappiamo, nei Vangeli quando di una persona non si cita il nome (e in particolare proprio nel Vangelo di Marco le persone “senza nome” sono tante così come l’evangelista è precisissimo ad indicare i nomi ed a volte anche i cognomi), allora dobbiamo interrogarci: forse l’evangelista vuole raccontarci non solo “un episodio” nel tempo, ma una “azione”, una “situazione” che va “oltre il tempo”, nella quale chiunque legge, può riconoscersi.

I nomi sono importanti, ma non basta tradurre una parola dall’ebraico o dal greco per comprenderne il significato, nei brani biblici occorre analizzare il contesto e il “senso” del termine nella cultura dell’autore del brano.

Eppure il “tale senza nome” compie una azione insolita: Gesù cammina e lui, “gli corse incontro”.

Forse noi non faremmo così attenzione ad un tale che corre, tutti appassionati di corsa, ma ai tempi di Gesù, in Oriente, il “correre” era cosa abbastanza insolita… in particolare un uomo.

Eppure il “tale” (senza nome) corre (azione che indica una “urgenza”, una “necessità”).

E dove corre?

“Incontro”: Gesù cammina, passa, è in viaggio verso Gerusalemme e mentre viaggia incontra, parla, guarisce… e il tale “gli corse incontro”.

Ha “urgenza” il tale, forse sa che la sua “urgenza”, la sua “inquietudine” può essere placata da Gesù che sta passando… e fa una cosa ancora più “strana”: “si mise in ginocchio”.

Nulla di strano diremmo… abbiamo visto altre persone “in ginocchio” davanti a Gesù (lebbrosi, donne, mendicanti…) e Marco sospende…

L’evangelista Marco, usa bene la punteggiatura, tutti i “segni” hanno un senso nel periodo (chissà che cosa penserebbe se leggesse qualche messaggio su cellulare e social… dove la punteggiatura è ormai sconosciuta!).

In tre versetti: 10 virgole, 2 due punti (che non usa quasi più nessuno), 3 punti e 2 punti di domanda.

Non è questa la “sede”, ma sarebbe interessante riflettere su questa “punteggiatura”.

Marco si è “fermato” nella descrizione a “un tale”, “un tale che corre e si inginocchia”.

Un tale che ha urgenza, che domanda, che è dominato da una inquietudine: la “vita eterna”.

Non dovrebbe avere dubbi il tale, nel dialogo con Gesù emergerà che la legge la conosce bene, la rispetta, è assiduo lettore e conoscitore dei precetti, i comandamenti vengono rispettati…

Eppure corre…

Ha intuito… ha chiamato “maestro buono” Gesù, non ha detto “voglio” la vita eterna, ha detto “avere”… la strada era quella giusta.

Non vuole “comperare” la vita eterna… vuole impegnarsi per “riceverla”.

Ha fatto tutto ciò che poteva fare… eppure… non è “bastato”, “non gli basta”, non “si basta”.

Il “maestro buono” ha forse la “soluzione”? Ha forse la “regola”, la “norma”, la “legge” in grado di essere “osservata” per ricevere la “vita eterna”?

Forse il tale si era già recato da altri “maestri”, era stato dai saggi, dai sacerdoti, ma al tempio i mercanti non hanno soddisfatto la sua richiesta: la vita eterna non è in vendita.

“Maestro buono”: attributo riservato a Dio, perché solo Dio ha la bontà, la Grazia.

Il “tale”, forse giudeo, preoccupato e desideroso di quella “vita eterna”, di quella “promessa”.

E ora Marco lo svela…

“se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni”.

“Un tale ricco”.

“Ricco e religiosissimo, osservantissimo”.

Si “rattrista” alle parole di Gesù.

Gesù non ha parlato di “vita eterna”, ma di vita “concreta”: “và vendi quello che hai e dallo ai poveri”.

Ora, Gesù manda a “liberarsi” ed a “donare”.

Gesù non “condanna” la ricchezza, ma l’ “attaccamento” alla ricchezza, non “giudica” rispetto al “possesso”, ma a quanto siamo “incatenati” ai beni.

E quello sguardo…

fissò lo sguardo su di lui e lo amò”.

E parla Gesù… parla con gli occhi prima ancora che con le parole.

Forse una delle più belle “frasi” pronunciate da Gesù: la Parola dell’Amore per l’uomo.

Lo “sguardo dell’Amore” per ogni uomo che ancora troppo “compreso” su di sé e sulle ricchezze non riesce a “vedere” Gesù, la Parola per la vita eterna.

La sequela dell’Amore, che non è “rinuncia”, ma “ricchezza”.

E vorremmo il “lieto fine” nella storia di quel “tale” che, invece, “si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.”

Il “luccichio” dell’oro più che la “luce” dello sguardo di Gesù.

La tristezza di chi non ha saputo essere libero, di chi ha paura di “perdere”, di chi non sa “abbandonare” per “ricevere”, di chi non sa “donare” per essere felice.

Il progetto “sapiente” di Dio per l’uomo: la vita eterna.

E la vita eterna si “decide” sull’amore concreto e vissuto.

Con quello stesso “sguardo” di Gesù, con lo sguardo che abbraccia, che ama, che intesse relazioni profonde.

Ecco quello che “manca”… manca una cosa sola per non “mancare di nulla”: amare il prossimo ed amare Dio.

Ma il “tale ricco”, ha scelto… si “rattrista” ma cambia strada…

Più rassicurante stare “solo” che stare con Dio e con gli altri.

La “solitudine” del cuore.

E per aprire il nostro cuore a quello sguardo, abbiamo bisogno della Parola e del Pane, abbiamo anche noi bisogno di “lasciare”, di “donare”, di “uscire”, di “abbandonare” e “regalare”, perché solo così impareremo ad amare per la vita eterna.

“Una cosa ti manca…”.

Uno, un numero apparentemente insignificante, manca una cosa, come quella pecora per la quale il pastore esce di notte e ne lascia novantanove… (i numeri nel contesto biblico hanno un significato importante)

Una cosa… ma che cosa sarà mai… ha tutto…

Una cosa… che è tutto.

Il “tesoro in cielo”, raggiungibile solo se sapremo perdere tutto per seguire Cristo: “Via, Verità, Vita”.

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<<Ho dato poco ma in quel poco ho dato tutto. Ho ricevuto infinitamente di più>>.

Con queste parole don Daniel Corrias lascia Borgosesia e il suo oratorio per andare a continuare la sua missione al Sacro Monte di Varallo.

Così dopo tre anni finisce un’avventura ricca di emozioni.

<<Rabbia nel rendermi conto di non riuscire al meglio nella mia missione – ha detto dal pulpito don Daniel – . Paura di non essere all’altezza, di deludere e di non raggiungere le aspettative; questo però mi ha anche aiutato nel vedere i miei limiti. Tristezza, la peggiore che spezza il cuore e blocca il respiro, per lasciare affetti e amici. E’ triste staccarsi dalle persone a cui vuoi bene. Gioia, che nel nostro oratorio è quella dei bambini. Ho provato gioia nel ricevere i saluti, nel sentire che l’oratorio è bello e nel vedere le risate dei bambini durante l’Estate ragazzi. L’oratorio di Borgosesia non varrebbe nulla se non fosse abitato dai bambini. Gratitudine, grazie alla gente che è stata come una famiglia. Grazie a don Gianluigi e don Roberto che mi hanno accolto come un fratello e mi hanno aiutato nelle difficoltà. Grazie ai volontari e agli animatori, ragazzi capaci di mettersi in gioco e di lottare per quello che vale>>.

Il sacerdote ha ricevuto come regalo di commiato un piviale e un album.

La giornata di domenica 6 ottobre è stata dedicata alla festa in oratorio, al mandato di catechisti e animatori oltre che a due inaugurazioni.

Sono infatti stati presentati il nuovo campo da calcio e il parco giochi, interventi costati circa 120mila euro.

A impartire la benedizione don Michele Balzaretti, originario di Novara, più precisamente della parrocchia di Sant’Antonio.

<<Sono emozionato di iniziare questo cammino – dichiara il diacono classe 1996 che verrà ordinato nel maggio 2025 – . Opererò qui essendo ancora diacono, parola che in greco vuol dire servitore. La mia speranza è quella di servire bene questa comunità. Ho trovato da subito un ambiente frizzante e molto vivo>>.

A lui i ragazzi hanno donato la divisa dell’oratorio (<<Per farti sentire da subito uno di noi>>) e un Evangelario.

Nella predica don Daniel ha preso in esame <<I due nuovi murales dell’oratorio. In uno c’è la scritta San Paolo che con San Pietro è patrono della nostra parrocchia. Nello specifico San Paolo è patrono dell’oratorio. Oggi siamo vestiti di rosso in suo onore. Il secondo murale è ricco di colori e raffigura dei bambini. Nel Vangelo Gesù invita a lasciar che i bambini vadano da lui. Qui sono proprio i bambini che ci insegnano la Fede>>.

Dopo la messa concelebrata con don Gianlugi Cerutti e don Roberto Pollastro, alla quale ha preso parte anche la corale, è seguito il pranzo.

Nel pomeriggio spazio ai giochi e a uno sguardo al futuro.

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Redazione di Vercelli

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