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1 Re 17, 10-16
Dal primo libro dei Re.
In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta.
Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna.
La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere».
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane».
Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto.
Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”».
Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni.
La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.
Sal.145
RIT: Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
RIT: Loda il Signore, anima mia.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
RIT: Loda il Signore, anima mia.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
RIT: Loda il Signore, anima mia.
Eb 9, 24-28
Dalla lettera agli Ebrei.
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Mc 12, 38-44
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
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UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA
Un cuore gettato in Dio
(1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
La liturgia di questa domenica ci fa riflettere sulla miseria e sulla povertà.
Le nostre categorie dividono il mondo in ricchi e poveri, in persone realizzate e persone frustrate.
I modelli di vita, benessere, bellezza, che ci vengono continuamente proposti dai mass media e dai social, sono scollati dalla realtà “difettosa” in cui tutti ci muoviamo e che esprimiamo con il nostro vivere.
Nel vangelo lo sguardo contemplativo, pensieroso e nello stesso tempo amareggiato, di Gesù cade sulle persone che stanno donando a Dio le loro offerte.
Gesù non è contento di questo dono?!
Proprio lui che è il Figlio di Dio non si rallegra che tanti uomini gettino nel tesoro del tempio qualcosa?!
Gesù coglie il gesto, ma guarda il cuore.
Se prendo del superfluo e lo dono facendo chiasso, non sto facendo altro che pubblicità a me stesso e alle mie presunte buone azioni.
Se attingo silenziosamente dal povero borsellino dove ci sono solo due spiccioli per il sopravvivere quotidiano e delicatamente li offro a Dio, allora mi sto muovendo contro ogni senso logico, sto esprimendo la mia fiducia illimitata in Dio e nella sua Provvidenza.
“Date e vi sarà dato, una misura, piena, scossa e traboccante vi sarà messa in grembo” (Lc 6,38).
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).
La vedova getta nel tesoro del tempio tutto quello che aveva non in “astratto”, ma tutto quello che aveva per vivere nel concreto del suo quotidiano.
La miseria in cui vive la vedova non è situazione di povertà morale o grettezza egoistica, lei è entrata in quella povertà di spirito che rende figli di Dio e quindi fiduciosi dell’amore del Padre.
La povertà/miseria è mancanza di ciò che è fondamentale per vivere: cosa è più fondamentale per vivere se non il nostro sentirci amati da Dio come siamo, dove siamo, con quello che abbiamo?!
La povertà/miseria può ingenerare avvilimento spirituale, infelicità e senso di desolazione.
Questa donna vedova è povera in tutti i sensi per la società del tempo: non ha un uomo alle spalle che la protegga, non ha un sostentamento, deve elemosinare presso i parenti per poter vivere.
Eppure il cuore di Gesù si rallegra del suo gesto, riconoscendo che il valore di quei due spiccioli non corrisponde ad un soldo, ma alla ricchezza di una vita vera, bella, piena di un amore gratuito che risplende nell’eternità.
Dio “paga” per tutti, è questa la sua gratuità.
Noi siamo chiamati a riconoscere questo dono gratuito nella nostra vita.
La vedova ha dato i suoi due spiccioli ridonando quello che aveva ricevuto e quei due spiccioli, nella logica dell’amore, portano a completezza quanto i sapienti e gli intelligenti del tempo non avevano saputo o voluto capire e donare.
La logica del vangelo si discosta dalla nostra.
Interessante notare che le categorie di Gesù non sono uomo/ donna, ma ricchi e poveri… se il nostro cuore è “gettato” in Lui siamo i poveri che lui ama, e la sua Provvidenza ci raggiunge!
Le Sorelle Carmelitane
Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza
Una scuola di cuore
Accogliere ed amare per avviare i bambini alla conoscenza.
E’ il progetto educativo delle Scuole Cristiane di Vercelli, naturalmente tutto proposto con il sorriso sul volto, perché solo una scuola che insegna a sorridere è una scuola che può avere un futuro.
In via Frova è tempo di Open Day, giornate informative per scoprire la valida offerta formativa dell’istituto lasalliano presente a Vercelli dal 1841, gestito dalla Fondazione Filippi La Salle.
Per i genitori e i bimbi dell’Asilo Nido e della Sezione Primavera, da zero a 3 anni, che si avviano verso la prima socializzazione fuori casa, la mattinata di sabato 9 novembre sarà dedicata a far scoprire la proposta educativa ricca di stimoli e opportunità per questa delicata fascia di età in cui ogni gesto e ogni attenzione divengono di fondamentale importanza per la formazione del bambino.
I primi passi fuori dall’ambito familiare sono, infatti, molto importanti nello sviluppo psicomotorio ed affettivo del bambino e vanno seguiti con pazienza, amore ed attenzione.
Tante cure per i bimbi e per i loro genitori, proprio come propone la pedagogia lasalliana che ritiene l’educazione una questione di cuore.
Il pomeriggio di sabato 9 novembre l’ Open Day prevede incontri con gli educatori, gli insegnanti e la direttrice, la possibilità di visitare la scuola e cimentarsi nei laboratori didattico / educativi dedicati ai bambini dai 3 agli 11 anni.
Si potrà infatti scoprire il mondo educativo della Scuola dell’Infanzia e della Scuola Primaria dell’Istituto paritario di via Frova che, attraverso la Pedagogia Lasalliana, mira a sviluppare le competenze dei bambini, promuovendo il loro benessere con “amorevolezze e fermezza”.
Tante e diversificate sono le proposte dell’istituto: dal bilinguismo quotidiano italiano/inglese, all’out door Education, ai laboratori di spagnolo e francese, di musica e coro, alle attività di multisport e brain gym.
Una proposta educativa ricca e all’avanguardia, in continua crescita, gestita da professionisti dell’educazione perché non ci si può improvvisare educatori ed insegnanti: oltre alla passione educativa è fondamentale la formazione, la ricerca e l’aggiornamento costanti.
La mensa interna e l’educazione alimentare della scuola costituiscono una importante proposta per sensibilizzare fin da piccoli alla transizione ecologica ed alla cura del pianeta Terra per formare cittadini consapevoli, capaci di creare nuove relazioni e vivere nel pieno rispetto della comunità e del Creato.
Le Scuole Cristiane propongono, pertanto, una formazione olistica, completa, che va ben oltre la semplice istruzione e formazione didattica.
La scuola lasalliana intende educare ad un sano stile di vita che promuova la ricerca della felicità.
Dt 6, 2-6
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni.
Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.
Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore».
Sal.17
RIT: Ti amo, Signore, mia forza.
Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore.
RIT: Ti amo, Signore, mia forza.
Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.
RIT: Ti amo, Signore, mia forza.
Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato.
RIT: Ti amo, Signore, mia forza.
Eb 7, 23-28
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, [nella prima alleanza] in gran numero sono diventati sacerdoti, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso.
La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.
Mc 12, 28-34
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
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UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA
Amerai: una promessa e un comando
(Dt 6,2-6; Sl 17; Eb 7, 23-28; Mc 12, 28-34)
Nel Vangelo di questa domenica uno scriba, dopo aver ascoltato il discorso di Gesù con i sadducei e compiaciuto della risposta del Maestro, decide di avvicinarlo per porgergli anche lui una domanda che riguarda la conoscenza della Legge:
“Qual è il primo di tutti i comandamenti?”.
Ricordiamo che gli ebrei osservanti regolano il loro stile di vita seguendo 613 “mitzvot” o precetti.
Alcuni dottori della Legge, dicevano che tutte le norme avevano lo stesso valore, perché provenivano tutte da Dio e non era lecito agli uomini introdurre distinzioni nelle cose di Dio.
Altri dicevano che alcune leggi erano più importanti di altre e perciò esigevano un obbligo maggiore.
Questo scriba vista l’intelligenza delle risposte di Gesù coglie l’occasione per chiedergli come la pensa.
Gesù, che si lascia avvicinare e ascolta le domande di tutti, risponde allo scriba citando il libro del Deuteronomio per affermare che il primo dei comandamenti riguarda l’amore per Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze.
È la citazione della famosa preghiera dello Shemà, che gli ebrei recitano più volte al giorno.
In essa Dio chiede l’ascolto e l’amore, dall’ascolto nasce l’incontro e la fede nel Dio vivente, dalla fede sboccia l’amore, come una promessa: amerai.
Questo verbo al futuro indica un cammino; l’amore è un percorso di trasformazione che implica una rinascita dall’alto.
L’amore è il vero culto spirituale dirà san Paolo:
“Offrite voi stessi come sacrificio vivente, questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per discernere la volontà di Dio ciò che è buono e a lui gradito” (cf Rm 12,1ss).
Dio è amore, chi ama rimane in Dio e Dio in lui (cf 1 Gv 4,16).
Questo è l’apice della religione, questa è la volontà di Dio, condurci dove regna l’amore. “Amerai”, una promessa e un comando, il primo comandamento che contiene tutti gli altri: “ama e fa ciò che vuoi”, dirà sant’Agostino; “ho imparato ad amare tutto ciò su cui si posa il mio sguardo”, dirà san Francesco.
Siamo nati per imparare il mestiere più nobile di tutti, l’arte di amare.
Dio è la Sorgente dell’amore, rispondendo al suo amore ne diventiamo partecipi, e ne mostriamo la verità amando il nostro prossimo.
Come infatti possiamo dire di amare Dio che non vediamo se non amiamo il prossimo che vediamo? (cf 1 Gv 4,20). Per questo il secondo comandamento è simile al primo; Dio è presente nel fratello che vedo, Dio è presente in tutto ciò che ha creato, Dio ama tutto ciò che ha creato.
Lo scriba si riconosce nella risposta data da Gesù, comprendendo che essa vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici che imporporavano di sangue l’altare del Tempio e che finivano per trasformarlo in un luogo di mercato.
Amare Dio e amare il prossimo è il vero olocausto di chi accetta di morire a tutto ciò che si oppone all’amore per rinascere ogni giorno creatura nuova che cammina nella verità e nella carità.
Le Sorelle Carmelitane
Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza
Gb 19, 1.23-27
Dal libro di Giobbe.
Rispondendo Giobbe prese a dire:
«Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Sal 26
RIT: Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Il Signore è mia luce e mia salvezza,
di chi avrò paura?
Il Signore è difesa della mia vita,
di chi avrò timore?
RIT: Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il suo santuario.
RIT: Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi.
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto.
RIT: Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.
RIT: Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Rm 5, 5-11
Dalla lettera di san Paolo ai Romani.
Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
Gv 6, 37-40
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
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UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE
“Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (prima lettura).
Le parole di Giobbe, sono le parole della fede, della fiducia assoluta e totale nel Dio redentore che salva, che “solleva” (ricordiamo come il verbo è utilizzato anche in alcuni scritti per indicare la risurrezione), che farà “contemplare”.
Giobbe l’uomo “giusto” secondo la logica biblica, “messo alla prova”, colpito da una serie insopportabile di disgrazie e di sofferenze, non abbandona la sua fede nell’esistenza di Dio.
L’ uomo che tenacemente confida nella Speranza, conosce la grandezza di Dio oltre il dolore, oltre le logiche umane, oltre le evidenze, oltre la “notte”.
Giobbe vive il dolore e allo stesso tempo, vive la fede in Dio, accetta la sofferenza e non abbandona la fede.
Lo sappiamo: il libro di Giobbe che leggiamo in diversi ambiti liturgici ci racconta che oggi come allora il dolore “isola” l’uomo, lo interroga, lo “separa” anche dagli amici.
Incredulità di fronte al male ed al dolore, il “perché” umano della sofferenza, il “motivo” di un qualche “motivo” per “giustificare” il dolore.
Perché?
Nella traduzione utilizzata che è quella di san Girolamo, abbiamo la resa di ciò che appare nella Vulgata: Girolamo “proietta” la logica “profetica” cristiana in Giobbe, quale Redentore Risorto e Salvatore.
Il testo ebraico, pur nella sua complessità e difficoltà, rende l’ idea del “Vendicatore”.
II “vendicatore” invocato da Giobbe è sulla stessa linea del “mediatore” e del “testimone” dei testi precedenti: si tratta di un terzo personaggio tra lui e Dio oppure di Dio stesso?
Con “riscattatore” o “vendicatore” indichiamo una figura particolare del diritto israelita, il Go’el; si tratta del parente più prossimo che ha l’obbligo di aiutare un israelita in difficoltà.
Ad esempio, il Go’el ha l’obbligo di vendicare i delitti di sangue, di riscattare il familiare venduto come schiavo, di ricomprare i beni familiari alienati per debiti e di sposare la vedova del fratello o del parente più stretto (la cosiddetta “legge del levirato”).
A partire dai testi dell’epoca esilica (in parti colare in Is 40-55) tale titolo inizia ad essere applicato a Dio, che viene descritto così come il “vendicatore” o il “riscattatore” di Israele (il “redentore”, nella traduzione CEI), ovvero il parente più prossimo degli israeliti, che si prende cura del popolo in difficoltà.
Anche Dio, per tanto, sa qual è l’intimo desiderio di Giobbe; c’è un Dio che alla fine giudica, e gli amici se ne dovranno accorgere (è il senso dei difficili vv. 28- 29).
Giobbe si appella così a Dio contro Dio, a un Dio in cui egli crede e spera, molto diverso dal Dio dei tre amici.
L’uomo di fronte a Dio.
La liturgia oggi, ci fa meditare sulla “vita”, quella vita “piena” e “felice” di cui Gesù raccontava su quel monte, mentre era “seduto”, mentre “guardando la folla” dimostrava che Dio non è “neutrale”, Dio è “preoccupato” dei deboli, di chi piange, di chi è “mite”…
L’uomo di fronte a Dio è “in piedi”, in cammino, ha lo sguardo al cielo ed i piedi “alla terra”.
L’uomo di fronte a Dio ha “il Signore con sé.”
E Dio è il Dio della “Speranza”, contro ogni speranza, il Dio della Vita oltre la vita, il Dio che “non basta” per l’uomo che si “accontenta”, ma è per l’uomo che vive di speranza, di preghiera, di fede.
E la Speranza non delude.
Profonda fiducia: “Sono certo di contemplare…”, “Non ho timore…” (Salmo) e Dio dirà “Non temere”: tutto è sicuro in chi ha in Dio la luce e la salvezza.
La fede, anche nella prova, affonda le sue radici nel suolo, è “radicata”, “nulla può temere”.
Fiducia e speranza, oltre il dolore, oltre la morte, oltre il momento della prova.
Come Giobbe “anche…continuerei a sperare” (Gb 13,15).
La contempl-azione.
E Gesù lo annuncia Tutto ciò… la volontà di Dio: che “io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”.
Gesù non si dimenticherà di nulla e di nessuno.
Si è fatto uomo per la volontà del Padre e la volontà del Padre è la salvezza di tutti gli uomini.
La liturgia di oggi, commemorazione dei defunti, (Messa I) ci invita a leggere il brano di Giovanni che appartiene al lungo discorso della sinagoga di Cafarnao, un Capitolo dove l’evangelista Giovanni, come aveva già annunciato nel Prologo, sottolinea l’origine divina di Gesù e con la discesa dello Spirito Santo, Gesù, il Cristo, è la definitiva presenza di Dio tra gli uomini.
Il dono dello Spirito, ci assicura Gesù, porta con sé il dono della risurrezione già in questa vita. Gesù dirà poi più avanti che chi crede in lui non farà mai l’esperienza della morte.
“colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” il Vangelo di Giovanni userà questo verbo (cacciare) 6 volte: è la vittoria della vita sulla morte, l’accoglienza dell’uomo nella sua totalità, la luce che scaccerà le tenebre del peccato e della morte.
Gesù lo sa, gli uomini hanno paura della morte, oggi come allora, è l’esperienza dell’estremo limite, ma Gesù invita a “vedere” la morte in una prospettiva nuova: nulla sarà perduto.
Il destino dell’uomo è la vita e la morte è solo un “passaggio”: Gesù “trasforma” in “breccia” ciò che era muro e limite, in “porta” ciò che era fine.
L’incontro con Gesù è quella “porta” che “fa vedere” la volontà di Dio:
“Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
“Io lo risusciterò”.
La bellezza e la profondità della salvezza cristiana.
Non abbiamo un Dio che ha “eliminato” la morte: troppo facile, troppo banale, troppo “umana” questa logica, abbiamo un Dio che è “passato” attraverso la morte e l’ha vinta per donarci la vita, quella vita che non si corrompe, che è Eterna, che ci farà “vedere” quell’immortalità per la quale siamo chiamati.
Aveva dato pane Gesù (parte precedente del discorso da cui è tratto il brano del Vangelo di oggi) ed ora chiede il “salto della fede”.
Non solo il pane che sazia ma il cammino verso l’eternità.
E il cammino verso l’eternità è quel Pane, quella “porta”: “pegno della gloria futura” (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1402).
E L’Eucaristia è già Vita eterna.
Un Amore più forte della morte, un Amore che non “caccerà” nessuno, un Amore capace di suscitare vita, un Amore in cui riporre la fiducia.
La vita eterna allora non è solo “aldilà” è “al di qua”: è qui che inizia la vita eterna.
Inferno e Paradiso?
Forse, il Paradiso non è non morire, ma sapere sempre, di avere Qualcuno che ci Ama.
Vita nuova di chi è amato, vita donata da quell’amore che è “più forte della morte”.
E’ dunque, una speranza che è fondata sull’amore di Dio (seconda lettura).
Le promesse di Colui che ha amato saranno mantenute.
Viviamo allora la gioia degli “incamminati” nella speranza: la speranza che si fonda sullo Spirito Santo, che presente nei cuori dei fedeli sostiene e guida alla contemplazione del volto di Dio.
Ap 7,2-4.9-14
Dall’Apocalisse di san Giovanni Apostolo.
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
Sal 23
RIT: Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.
RIT: Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
RIT: Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
RIT: Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
1 Gv 3, 1-3
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
Mt 5, 1-12
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
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UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE
“Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (prima lettura).
Sono santi, sono nel Regno, vicino al “trono”.
La santità è “possibile”:
“Una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello”.
Rassicurante. C’è posto per tutti.
Non promette una “vita facile”, una “vita senza sofferenze”, “denaro, ricchezza…”
Promette il Regno.
Per tutti… nazioni, tribù, popoli…
Promessa di eternità, di salvezza.
Promessa di felicità e beatitudine per 144mila (ancora matematica, numeri… ma lo sappiamo i numeri nella Bibbia sono importanti e densi di significato. 12 come le tribù di Israele, 12 gli apostoli, moltiplicazione: 12×12 e mille come la grandezza divina).
I “salvati” dall’Amore di Dio.
La moltitudine dei “salvati”: l’evangelista Giovanni nel libro, ne fornisce una “descrizione”: colore, abbigliamento, luogo, numero, motivazione, azione… hanno “seguito Cristo”.
Sono i santi.
Super-eroi?
Uomini e donne dell’amore.
Uomini e donne di esperienza cristiana vissuta.
Uomini e donne che ogni anno ricordiamo ma che dovremmo ricordare ogni giorno.
Uomini e donne che non possiamo dimenticare: hanno calpestato la stessa polvere che calpestiamo noi, hanno dormito sotto lo stesso cielo che ancora vediamo noi, hanno ricevuto la stessa fede, si sono nutriti del Pane e della Parola, ma, forse… hanno “creduto nell’Amore di Dio” (1Gv 4,16) un po’ più di noi.
Ogni anno durante la S. Messa della Festa dei Santi, leggiamo la pagina delle Beatitudini (Vangelo) tratta dal Vangelo secondo Matteo, qualsiasi sia il lezionario utilizzato (A- B o C) per l’anno liturgico/ecclesiastico in atto.
Una pagina che “racconta” l’esistenza illuminata dall’ Amore di Dio.
Una pagina che “racconta” la beatitudine del discepolo.
Una pagina di “consolazione”, ma che invece ci pare “di azione” per il numero di verbi presenti in essa.
Li ho contati, nel discorso di Gesù (non ho mai amato particolarmente l’aritmetica, ma riconosco che il mondo è “matematico”), sono tanti e tutti bellissimi.
E’ il regno; saranno consolati; avranno in eredità; saranno saziati; troveranno misericordia; vedranno Dio; saranno chiamati figli di Dio; è il regno dei cieli; Rallegratevi ed esultate; è la vostra ricompensa nei cieli.
Sono i verbi della speranza.
Sono i verbi dei Santi.
Non è la prima volta che nella Bibbia sentiamo i “verbi dei beati”, possiamo ricordare la pagina del libro del Deuteronomio al capitolo 33, 29 oppure il “parallelo” di Luca (Lc 6,20-27), oppure Apocalisse 1,3 per non ricordare i diversi Salmi, come ad esempio il Salmo 8.
Mi piace la “logica” delle “azioni” perché vedo in questi verbi le azioni di Gesù.
Gesù non “parla” prima, sempre “dopo”: prima “agisce” e poi “dice”.
I verbi di Gesù che diventano i “verbi” dell’uomo, quelli delle azioni quotidiane, quelli della speranza e della consolazione, quelli del “nonostante”, quelli del “io l’ho fatto prima di voi”.
La “felicità del nonostante”.
La “speranza” dei santi.
Perché è la “speranza” di tutti.
Su quel monte, seduto, si guarda intorno… lo sappiamo, quello “sguardo” a cui ci siamo “abituati”, scruta, parla, osserva, penetra… e quelle parole sono per loro… per i soggetti delle beatitudini che diventano e devono diventare soggetti delle azioni.
E i “poveri”, i “miti”, i “perseguitati” diventano gli “interlocutori” e noi con loro.
Matteo a differenza del “collega” scrittore Luca, non cita i “guai” (non amo sempre questo confronto sinottico che a volte risulta banale se consideriamo la “logica” e i “destinatari” della scrittura degli evangelisti), ma l’infelicità è sottesa dalla “promessa” di beatitudine.
Direi alla “chiamata alla santità”.
Da quel monte, Gesù guarda e parla della “povertà” dell’uomo e della sua “grandezza”, della sua Speranza, delle sue “azioni”, della sua “santità”.
Gesù con ogni probabilità ha usato la parola ‘ānāw (in ebraico povero), colui che è prostrato, curvato, abbassato, oppresso, senza diritti, “inferiore socialmente”, posto alla logica del sopruso…
L’uomo “umile”.
L’uomo che sa “riconoscersi” creatura.
I Verbi della creatura sono le azioni della creazione: non “povero di…” ma “povero in”… l’uomo che “sa riconoscersi” nella sua povertà.
E la sua “condizione” sarà la fonte per le azioni della sua “felicità”.
La “povertà” di chi sa “affidarsi” a Dio, di chi “sa leggere il suo disegno”, di chi “confida nel suo amore sicuro di non rimanere deluso”, di chi sa “imparare” dal modello di umiltà e povertà, che ha portato il “suo giogo”, che è stato mite, che ha “amato i nemici”, che ha “chiesto il perdono” per l’inconsapevolezza dell’azione, che ha abbracciato e perdonato i tradimenti, i peccati, le superbie e le arroganze.
La fede: una povertà vissuta in spirito.
L’uomo nella sua povertà e debolezza ha “bisogno” di “santità”.
Se i verbi di Gesù sono “difficili” e il suo modello ci appare ancora “irraggiungibile”, abbiamo i “santi”.
Coloro che hanno riconosciuto la fame e “hanno dato da mangiare” (Mt 25), hanno riconosciuto la sete ed hanno “dato da bere”, hanno riconosciuto l’uomo e lo hanno accolto, coloro che chiamati, hanno risposto alla chiamata…
I santi sono coloro che “sulla strada di Gerico” passando, hanno “visto” e si “sono chinati”, hanno “curato”, hanno “unto”, hanno “portato ed affidato”, hanno “pagato” e… ritorneranno.
Un Gesù “seduto” (ricordiamo che su quel monte, “messosi a sedere”, parla con “autorità”. Nel Vangelo il “mettersi a sedere” è dedicare tempo e annunciare una “novità” con l’autorità del Maestro, ma è anche la calma e la familiarità della pazienza, del tempo che viene “preso”, che sa di attesa, senza affanno ne’ preoccupazione. Il “mettersi a sedere” del Maestro e il “mettersi a sedere” del Padre. Solennità e amicizia, familiarità) che “innalza” l’uomo.
Un Gesù “seduto” che “guarda” dall’alto, come da quella croce, ma “guarda” lontano, dal monte e “abbraccia” l’uomo.
Una “nuova legge”, la “legge della speranza”, la “legge della felicità”, la “legge della santità”, la legge della “concretezza dell’azione” a cui tutti siamo chiamati.
La “chiamata alla santità”.
La “chiamata alla felicità”.
La “chiamata alla speranza”.
I verbi di Dio, l’Amore di Dio.
La “risposta” dell’uomo.
L’azione dell’uomo.
E allora Gesù non può solo “parlare”, esige una risposta, un dialogo fatto di “azione”, fatto di quei verbi che parlano il linguaggio della mitezza, della povertà, della giustizia, della persecuzione, della verità, della misericordia, del perdono…
Il “sogno” come “desiderio” della “beatitudine” della “santità” del Regno dei cieli.
Il “Suo Regno” che diventa il “regno dei santi”.
Il “desiderio” della gioia nella Volontà del Padre e nel servizio ai fratelli.
Santi, non eroi.
I Santi hanno “bevuto” da quel calice, hanno detto come Gesù “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 27,39).
I Santi hanno cercato il Volto di Dio”, hanno coltivato “mani innocenti e cuore puro” (salmo), hanno “conosciuto il grande amore” (seconda lettura), si sono “riconosciuti” figli di Dio, amati, perdonati, salvati. Sono diventati “simili a lui” perché lo hanno visto “così come egli è”.
I “figli di Dio” potatori di pace, di giustizia, di misericordia. L’agire concreto, coraggioso.
E “erediteranno la terra”.
Non “cambia” la legge Gesù: la porta a compimento.
E Gesù mantiene le promesse.
“Siate santi come io sono santo”: il modello lo abbiamo, adesso tutti possiamo rispondere alla chiamata e grande sarà la nostra “ricompensa nei cieli”.