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Gn 3,9-15.20
Dal libro della Gènesi
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Sal. 97
RIT: Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
RIT: Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
RIT: Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!
RIT: Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Ef 1, 3-6.11-12
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Lc 1, 26-38
Dal Vangelo secondo San Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
***
UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE
“Dove sei?”: una delle “domande” di Dio.
Preoccupati sempre di “domandare a” Dio, neppure ci accorgiamo di quante domande compaiano nella Bibbia di Dio all’uomo.
E questa è una di quelle domande direi “belle” che Dio rivolge all’uomo, una “domanda” con quel “punto interrogativo” che è un “amo”, un “uncino”, “artiglia” senza farci male, “cattura” la nostra attenzione, ci “mette in discussione”, ci “fa pensare” eppure…
“Dove sei?” è la domanda non solo della “richiesta” di un luogo, ma della “preoccupazione” di Dio che “cerca”.
Una domanda che sa di “sguardo” uno sguardo “dall’alto”: “dove sei?”, ma anche uno sguardo “orizzontale”, sono qui, nel giardino e non ti “vedo”: “ti sei forse nascosto?”…
Un Dio “preoccupato” di non “vedere” l’uomo.
L’uomo che “non si fa vedere”, si nasconde alla vista, non si fa “trovare”.
Eppure Dio non demorde: “Dove sei?”
E ancora una domanda: “Hai forse…” un dubbio, non un’accusa.
“Dove sei?”
Dove sei uomo? Dove sei donna? Dove siete?
Sono qui: vieni a parlare con me, io voglio parlare con te: possiamo dialogare ma ti domando e mi presento a te come “giudice”.
Un Dio “terribile” giudice?
Un “Dove sei?” “giudicante”?
No, un “Dove sei?” dettato dalla “tristezza” e della “tenerezza”, dalla “ricerca” ancora di quell’uomo creato, di quell’uomo libero, di quell’uomo a cui occorre svelare la “sua nudità”.
Sono qui, siamo qui, siamo “nudi”, ci siamo nascosti…
Nascondersi dal volto di Dio.
Una catena di “scuse” e di “giustificazioni”.
La “colpa”: tua, mia, della donna, del serpente…
Accuse reciproche.
Accuse che creano “divisione”, che “separano”, che “allontanano” da Dio e dagli altri uomini.
Il serpente ha “allontanato”, ha “diviso” (lui chè è “separatore”, divide, fa diventare l’uomo diabolus, nel senso etimologico del termine greco diaballo, diviso).
Confusione e divisione.
“Mangiare e toccare….” La donna non ha capito o forse ha interpretato male: Dio aveva detto di non mangiare e di non toccare: “«Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare” (Gen 2,) ora forse la donna ha “dimenticato” un pezzo di “comando” e risponde a Dio: “Io ho mangiato”. Mangiare nella Bibbia implica la fagocitazione e quindi l’appropriazione. Toccare implica una relazione, un contatto. Dio aveva impedito l’appropriazione, non la relazione.
Ma ancora una “distrazione” della donna: la proibizione di Dio nel capitolo 2 riguardava l’albero della “conoscenza del bene e del male”, invece la donna dice che Dio ha proibito di mangiare dell’albero che sta “in mezzo al giardino”, quell’ “albero della vita”. Quanta confusione!
E quanto “inganno”… “non morirete affatto…”
Disobbedienza.
La “responsabilità”.
Il peccato.
Il “peccato di origine”: la tentazione dell’accoglienza della menzogna.
Il CCC lo ricorda: “privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”) (CCC 405).
Dio “cerca”, Dio “chiama” ed “interroga” l’uomo.
Lui non “interroga” il serpente, lo fa solo con la persona.
E offre la “possibilità”, “superare” la condizione di peccato.
Libertà e responsabilità: gloria e destino dell’uomo.
Uomo tra peccato e giustizia.
Giustizia che è “prima” del peccato, che sarà “Vangelo” annunciato.
L’uomo creatura, l’uomo “a immagine e somiglianza” eppure l’uomo debole e vulnerabile, l’uomo a cui Dio ancora, chiede dialogo. L’uomo che trova se stesso con “l’aiuto che gli è simile”, non più in un “orizzonte solitario”, ma in un “orizzonte di relazione”.
«Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (v. 15).
Molte e autorevoli interpretazioni per questo versetto biblico, non mi dilungo anche se sarebbe davvero interessante ed importante, mi piace, tuttavia pensare all’interpretazione che “legge” il versetto in questo modo: “[la stirpe di Eva] ti schiaccerà la testa”, ecco allora come possiamo forse, comprendere nel testo ebraico la maledizione del serpente: Dio “rassicura” che è facoltà di ogni uomo di vincere il male, la “tentazione” di quel “separatore” e da “quella stirpe” di donna, nascerà Colui (Gesù Cristo) che vincerà il peccato e la morte in modo definitivo.
Mi piace fare un piccolo accenno a quell’opera eccezionale di Caravaggio, che sappiamo conservata a “La Madonna dei Palafrenieri”, dove si vede un Gesù, tenuto sotto le ascelle dalla mamma Maria, che lo sorregge, mentre con il suo paffuto piede, schiaccia il serpente, appoggiando il suo sul piede della Mamma (non possiamo dimenticare il periodo storico nel quale dipinse Caravaggio che è quello della riforma cattolica).
Immagine eloquente e significativa, a cui siamo poco abituati in quanto molte sono le raffigurazioni e statue della Madonna con un serpente sotto i piedi che interpretano proprio questo passo della Genesi e “raccontano” anche l’evoluzione di quello che sarà il dogma della Chiesa: l’Immacolata Concezione. La Vergine è concepita senza peccato, perché da lei nascerà il Figlio di Dio, quella: ”luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,1-18).
Sicuramente l’intenzione di Caravaggio era diversa, ma mi piace pensare a quel bambino “nel grembo”, a quella “stirpe” che come Papa Francesco in un discorso di qualche anno fa sottolineava: “Quanto contempliamo il crocefisso contempliamo proprio questo:
“il peccato è l’opera di Satana e Gesù vince Satana ‘facendosi peccato’ e di là innalza tutti noi. – ha ulteriormente spiegato il Santo Padre – Il Crocifisso non è un ornamento, non è un’opera d’arte, con tante pietre preziose, come se ne vedono: il Crocifisso è il Mistero dell’‘annientamento’ di Dio, per amore“.
Un annientamento, ha concluso Francesco che “non è stato fatto con la bacchetta magica da un Dio che fa le cose: no! È stato fatto con la sofferenza del Figlio dell’uomo, con la sofferenza di Gesù Cristo!“ (Papa Francesco, Messa a santa Marta martedì 15 marzo 2016)
E allora, forse quel “piedino” che calpesta con quello della mamma, il serpente, è proprio il piede di Colui che ha trovato grembo” in Colei, senza peccato che ci ha donato il Salvatore.
E dunque, su quel “piede” c’è l’umanità con Maria e con Cristo, c’è l’uomo che è salvato, infatti: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito a ogni uomo» (Gaudium et spes 22).
Siamo certi: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).
Una “buona notizia”, una “notizia di speranza”.
Importante il versetto a conclusione del testo liturgico odierno : “L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi”. L’uomo “chiama” , lui dà il nome a quella mirabile creatura “messa al fianco” a lui da Dio. Eva: (in ebraico חַוָּ֑ה Hawah), Adamo offre un “nome”, dopo che l’aveva chiamata “donna”. Eva è la “vivente”, viene fatto derivare da “che suscita la vita” ( ecco perché Madre dell’umanità). Il nome “donna” (‘ishshah) viene considerato come forma femminile di ish (=maschio), l’’intendere donna come “maschia”.
Nonostante il peccato, la vita continua.
Nonostante il peccato il grande dono di Dio si prolunga nel tempo.
“Schiacchiare e insidiare”: tutto sarà spiegato con questo.
Infatti i due verbi «schiacciare» e «insidiare», usati nella traduzione, derivano in ebraico dalla stessa radice (shwf).
Ma La Grazia “abbondante” sovrasterà l’insidia.
E come in quel “giardino”, ancora uno “sguardo verticale” di Dio, su una collina verdeggiante della Galilea: Dio guarda e manda un angelo a Nazareth ed uno “sguardo orizzontale” dove il Signore entra nella nostra vita con quel Si di Maria. Maria, scelta dal Signore come Madre, la quale si è dichiarata “serva” ponendosi con consapevolezza “al servizio”, per quella vita nata da donna, una “nuova Eva”, madre del Vivente.
“Io sono la Via, la Verità, la Vita”.
“Avvenga quello che tu hai detto”: trova dimora in me.
Il miracolo del Dio Incarnato, del Dio fatto uomo.
Un viaggio “lungo” quello del messaggero Gabriele, l’angelo infatti, era stato mandato anche a Gerusalemme nel Tempio da Zaccaria, ora è qui, a Nazareth, messaggero: Dio è presente ovunque.
Rinnova ancora quella domanda: “Dove sei?” Gabriele significa “Dio mostra la sua forza” o “forza di Dio”: tutto ha “sorgente” in Lui. “Dove sei?”: Io ci “sono”, “Sono” qui, dal Tempio alla “periferia”, dalla “religiosità strutturata” a quella regione dove “le genti” hanno elaborato anche “sincretismi” religiosi,
“Dove sei” donna? Qui a Nazareth, luogo “scelto” da Dio, donna che è “promessa sposa”, donna che è “promessa” di quel futuro di salvezza, annunciato, e Dio, lo sappiamo, mantiene le promesse.
Una donna in Galilea di nome Maria, da lei verrà la salvezza del mondo.
Una ragazza che da Nazareth dirà “SI’” e questa risposta affermativa farà “entrare” Dio, farà “rallegrare” il mondo.
Un Dio che viene a “rallegrare” a “dare gioia” e lo fa attraverso una donna, una donna “piena di Grazia”, una donna “piena d’Amore”, “piena di vita”, una donna che “non teme” perché sa che a Dio “nulla è impossibile”, perché sa che porterà il “Dio con noi” nel suo grembo: l’Emmanuele.
Dio è questo: Colui che “guarda”, che “domanda”, che “visita”, che “viene con noi”, che “chiama per nome” (“non temere Maria”).
“Non temiamo”, quella “disobbedienza” non deve farci paura, abbiamo Dio, Dio che ci viene a cercare, che manda la “Grazia”, in modo gratuito.
Il “Signore salva”: lo dice anche il nome “Gesù”.
“Lo chiamerai Gesù”.
L’uomo ha chiamato la moglie, Maria “chiamerà” su parola di Dio, il figlio “Gesù”.
“Il Signore salva”: la promessa del Regno.
E Maria “farà sazio a Dio”: “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,15).
Pose la sua “dimora”, la sua “tenda” con l’uomo, con il mondo.
“Nulla è impossibile a Dio”.
Lo Spirito “scenderà”, “stenderà la sua potenza”… e nascerà il “Figlio di Dio”.
Maria l’Immacolata concezione ci “suggerisce” la preghiera quotidiana, quella preghiera che dovremmo trovare come “risposta” a quel “Dove sei?”.
Sono qui, Dio, eccomi “Avvenga a me secondo la tua Parola”.
Come Maria, Tempio dello Spirito, anche noi vogliamo essere tempo che accoglie la sua Parola.
Come Maria, vogliamo vivere l’accoglienza.
Ger 33, 14-16
Dal libro del profeta Geremia.
Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.
Sal.24
RIT: A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
RIT: A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.
RIT: A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.
Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza.
RIT: A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.
1 Tes 3, 12-4,2
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
Lc 21, 25-28.34-36
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
***
UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE
E allora: Buon Anno!
Buon Anno per camminare a “scoprire” il Dio Incarnato, il Dio vicino, a Betlemme, il Dio in cammino, in preghiera, a Gerusalemme, sulla croce, nel sepolcro, il Dio che ci attende in Galilea, e che si farà riconoscere nello spezzare il pane, il Dio che non ci lascia soli, che ci manderà lo Spirito Santo, il Dio che “salirà”, che ci “preparerà un posto”, e sarà giudice buono e misericordioso.
E l’augurio non può che venire dalla lettura del Documento del Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium numero 102, dal documento si chiarisce così questa prassi ecclesiale maturata nei secoli: “La santa madre Chiesa considera suo dovere celebrare l’opera salvifica del suo sposo divino mediante una commemorazione sacra, in giorni determinati nel corso dell’anno. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa memoria della risurrezione del Signore, che essa celebra anche una volta all’anno, unitamente alla sua beata passione, con la grande solennità di Pasqua. Nel corso dell’anno poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo dall’Incarnazione e dalla Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza”.
Buon Anno!
Per lasciarci “trasformare” da questa realtà centrale della nostra fede: il Mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Di anno in anno, di attesa in attesa.
Diciamolo, per non dimenticarci dell’avvio dell’Anno liturgico.
In quest’anno liturgico ci accompagnerà per lo più la lettura del Vangelo di San Luca, e ci racconterà della misericordia, della compassione, dell’abitare a casa nostra, di un Padre che corre e guarda da lontano, di un Dio che “viene” e ci “prepara” alla venuta.
Una promessa: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra” (prima lettura), siamo nel “libro della consolazione”, quarta parte del libro del profeta Geremia. Siamo nella “promessa”, le “promesse di bene» (haddavar hathôb, «parola buona») non nel “tempo” del “ritorno dall’esilio”, ma in un “futuro”, del quale non sappiamo ancora tempo ed ora, ma che è “annunciato”.
Una promessa di un “germoglio”, come quello annunciato dal profeta Isaia (Is 11,1), un “germoglio giusto”, che saprà “giudicare con giustizia”.
La salvezza avrà come presupposto e fondamento la “giustizia”.
Geremia, per incarico del Signore, annuncia, annuncia in un tempo di “crisi e difficoltà”: guerre, distruzione, il Tempio è stato distrutto, deportazione, i profeti arrestati… ma il profeta non si arrende, annuncia e pre-annuncia: nella fedeltà a Dio è la pace e la giustizia.
Geremia, su invito del Signore, deve generare Speranza, oltre la paura, oltre l’esilio, oltre l’angoscia, oltre la desolazione.
Dio ha fatto un “patto”, non “viene meno” alle promesse, anche se il popolo è infedele; Geremia invita ad un cammino di conversione, ad un cammino che vedrà il “germoglio di bene”.
Due comunità (Giuda ed Israele), lontane da Dio, una “storia” esilica, una “lontananza” che vive l’aridità… eppure nascerà un “germoglio”.
Dall’irrisolvibile fallimentare storia umana, Dio farà nascere la Speranza.
Oltre l’orizzonte di quei fiumi a Babilonia… un’ aurora.
L’uomo è chiamato a “intuire” “quei giorni”, quel “germoglio di bene” (ṣemaḥ ṣedaqah).
La promessa oltre l’infedeltà.
Una “giustizia a fondamento”.
Una giustizia che è promessa mantenuta.
Il “germoglio”.
La “Parola buona” è “promessa di bene”.
Quella “promessa” sollecitata da Geremia “uomo della Speranza”, uomo che sa che Dio ha “fiducia” nell’uomo, “nonostante tutto”, uomo “profetico” per l’uomo devastato e lontano, uomo che sa che “Dio c’è”, oltre il Tempio, oltre la Terra, oltre il “provvisorio”, per “attendere” ciò che “germoglierà”.
Dio che è “buono”, “misericordia”, “amore”, “retto”, “amore e fedeltà”, “guida” ( Salmo).
Un Dio che “promette e mantiene”, all’uomo “fa conoscere la sua alleanza”.
E Gesù annuncia: “La promessa è vicina” (Vangelo).
Ci “prende per mano” Gesù e ci conduce a “vedere”, non con la paura, ma con la speranza.
Gesù conosce le scritture del profeta Geremia e annuncia: “Dio rende vicina la promessa”.
Ci conduce e ci fa “alzare il capo” e se alziamo il capo, rischiamo di inciampare, se non “vediamo” dove “mettiamo i piedi”.
Ci conduce e ci “fa vedere”.
“Vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”: ci fa “vedere” oltre i nostri piedi.
La promessa di bene.
Una promessa di bene che richiede “attenzione”, che ha bisogno di “cuori non appesantiti”.
Una promessa che ha bisogno di “vigilanza”.
La “liberazione” è vicina.
“Vegliate in ogni momento pregando”.
Vegliare per cogliere l’ “oggi”, vegliare per la speranza che “non è ottimismo, ma ‘un’ardente aspettativa’ verso la rivelazione del Figlio di Dio” (cfr. Papa Francesco, S.Messa in Santa Marta, 29 ottobre 2013), vegliare perché abbiamo come cristiani, uno “sguardo alto”.
Vegliare pregando.
La preghiera è il “nutrimento” della Speranza delle “promesse di bene”.
Pregare “in ogni momento”.
Bellissimo questo richiamo di Gesù, indicato dall’evangelista san Luca.
Vegliare con una preghiera incessante, con lo sguardo “luminoso”, vegliare perché la preghiera “ci fa vedere”.
“Ci saranno segni…” Gesù lo dice: non per raccontarci “come” avverrà la fine del mondo, ma per raccontarci il “mistero” del mondo.
E nel “mistero” Dio viene.
Dio viene a realizzare il bene.
E quel giorno non ci vedrà “impreparati” con il cuore “appesantito”, e “vedremo” Il “Figlio dell’uomo”.
Perché siamo persone “in piedi”, che “guardano” il cielo ma che camminano sulla terra.
Perché siamo “in piedi” come le sentinelle che scrutano, che vegliano, che sanno che non sappiamo “né il giorno né l’ora”, ma sappiamo “che”.
Sforziamoci di essere “cristiani con il cuore non smarrito”.
Per essere “pronti”, come la comunità di Tessalonica (seconda lettura), che viene invitata da San Paolo al vivere nell’attesa della “venuta del Signore”.
Attesa che va preparata: “il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità”.
Una abbondanza di amore che rende forti e saldi in ogni situazione, anche nelle avversità, per “preparare la strada al Signore che viene”.
Un amore che rende il cuore dei cristiani in grado di “accogliere”.
Amore che è fortezza, che sostiene, guida e sorregge.
Abbondanza e sovrabbonda.
Lo Spirito Santo “abbonda” nel cuore de cristiani, è “mandato” dal Padre a sostenere, sorreggere e guidare.
E con la “forza” dello Spirito, i cristiani, “stanno in piedi”, attendono, con vigilanza.
Con cuore saldo e senza paura.
“Come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio” un consiglio di san Paolo per tutti i cristiani, non solo per quelli della comunità di Tessalonica: il “disegno” per ogni uomo, il “disegno” di salvezza”.
“Per piacere”, con quella logica dichiarata da Gesù: “che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” soggiunge come per spiegare il suo comandamento: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
“Per piacere”, conoscendo e ri-conoscendo Dio attraverso la sua Parola.
“Per piacere”, perdonando fino a “settanta volte sette”.
“Per piacere”: la “relazione” con Lui.
“Per piacere”: la relazione con Lui e con i fratelli.
Dio ama e conosce e “piaccio” a Lui non per “dovere”, ma per amore.
E allora anche noi “alziamo lo sguardo e vegliamo”.
Momenti convulsi in casa Pro Vercelli e conseguente cambio in panchina.
Decisiva è stata l’eliminazione agli ottavi di Coppa Italia, patita dai leoni contro la Giana Erminio.
La sconfitta per 3-0, ha portato mister Paolo Cannavaro a rassegnare le dimissioni.
Non solo il tecnico, lasciano Vercelli anche i suoi assistenti: l’allenatore in seconda Rolando Bianchi e il preparatore atletico Nicandro Vizoco.
I leoni però nel giro di poche ora hanno già trovato una nuova guida tecnica.
Si tratta di Marco Banchini.
Allenatore classe 1980, Banchini vanta più di 150 panchine da professionista con Como, Vis Pesaro, Montevarchi e Alessandria.
Tra le esperienze, anche quella da allenatore in seconda dell’ex tecnico Pro Vercelli, Cristiano Scazzola nel Robur Siena e nel K.F. Laçi, squadra che milita nella massima serie del campionato albanese.
Analizzando la classifica, si nota come la Pro sia relegata al 18° posto con 15 punti raccolti (4 vittorie, 3 pareggi e 9 sconfitte).
Solo una la lunghezza di ritardo dalla zona salvezza, resa però preoccupante dalla caduta libera delle bianche casacche.
La squadra fa fatica a segnare e gli 11 gol realizzati, le valgono la palma di 2° attacco meno prolifico.
La difesa è invece la quinta più battuta con 23 reti incassate.
In casa, sono stati raccolti il doppio dei punti che in trasferta; 10 contro 5.
Il campionato si era aperto con due vittorie consecutive; gare vinte senza subire reti.
Lo stesso numero di successi arrivato nelle seguenti 14 partite.
La gioia dei 3 punti, manca in trasferta dalla seconda giornata.
Nelle ultime 7 gare i leoni hanno messo a segno una sola rete, decisiva per la vittoria interna contro l’Alcione Milano.
La situazione è rimediabile ma bisogna cambiare marcia.
Questo già a partire dalla prossima gara di campionato, sul campo dell’Aurora Pro Patria.
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Redazione di Vercelli
(elisa moro) – L’uomo delle “Otto Beatitudini”, come lo definì San Giovanni Paolo II, il Beato piemontese Pier Giorgio Frassati, sarà elevato all’onore degli altari il 3 agosto 2025, nel corso del Giubileo dei giovani.
Il Santo Padre Francesco, infatti, durante l’udienza generale di mercoledì 20 novembre 2024, ha annunciato: «Voglio dire che l’anno prossimo, nella Giornata degli adolescenti, canonizzerò il Beato Carlo Acutis, e che nella Giornata dei giovani, l’anno prossimo, canonizzerò il Beato Pier Giorgio Frassati».
Nati a 90 anni di distanza (1901 – 1991) l’uno dall’altro, beatificati con un divario temporale di 30 anni (1990 – 2020) i due giovani saranno dunque uniti nel riconoscimento della loro Santità.
***
“Vivere non vivacchiare”: intorno a questo motto si è articolata l’intera, breve e intensa, esistenza di Pier Giorgio, nato a Torino il 6 aprile 1901.
Figlio di una ricca famiglia borghese, la madre, Adelaide Ametis, è una nota pittrice; il padre, Alfredo, nel 1895 aveva fondato il quotidiano “La Stampa”.
A 17 anni entra nella Conferenza di san Vincenzo, per essere fino in fondo il “facchino dei poveri”.
Raccontando delle persone a cui stava vicino dirà:
“io che ho avuto da Dio tante cose sono sempre rimasto così neghittoso, così cattivo, mentre loro, che non sono stati così privilegiati come me, sono così infinitamente migliori di me”.
Pier Giorgio andava dritto alla sorgente dell’Amore per averne in abbondanza: la comunione quotidiana – amava ripetere «Gesù, nella santa comunione, mi fa visita ogni mattina» – il silenzio, la preghiera erano per lui Vita.
Si iscrive ad Ingegneria meccanica (con specializzazione mineraria) per potersi dedicare – come aveva confidato ad un amico – a Cristo tra i minatori, che erano tra gli operai più umili e meno qualificati.
Nel 1919 si iscrive alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e aderisce all’Azione Cattolica, iscrivendosi al circolo “Milites Mariae”.
Il 28 maggio 1922, nella chiesa torinese di San Domenico, riceve l’abito di terziario domenicano, prendendo il nome di Fra Girolamo: Pier Giorgio, da fervente discepolo di San Domenico, recitava ogni giorno il Rosario, che portava sempre nel taschino della giacca, non esitando a tirarlo fuori in qualsiasi momento per pregare, anche in tram o sul treno, persino per strada.
“Il mio testamento – diceva, mostrando la corona del Rosario – lo porto sempre in tasca”.
Il 30 giugno 1925 Pier Giorgio accusa degli strani malesseri, emicrania e inappetenza: non è una banale influenza, ma una poliomielite fulminante che lo stronca in soli quattro giorni, il 4 luglio, tra lo sconcerto e il dolore dei suoi familiari e dei tanti amici e conoscenti, a soli 24 anni.
Il 20 maggio 1990 è stato beatificato da San Giovanni Paolo II, che lo indicato come esempio e modello per la società attuale:
“ecco l’uomo “interiore”! E tale ci appare Pier Giorgio Frassati. Difatti, tutta la sua vita sembra riassumere le parole di Cristo ..Egli è l’uomo “interiore” amato dal Padre, perché molto ha amato! Egli è anche l’uomo del nostro secolo, l’uomo moderno, l’uomo che ha tanto amato! Non è forse l’amore la cosa più necessaria al nostro XX secolo, al suo inizio come alla sua fine? Non è forse vero che soltanto ciò resta, senza mai perdere la sua validità: il fatto che “ha amato”?… Egli se ne è andato da questo mondo, ma, nella potenza pasquale del suo Battesimo, può ripetere a tutti, in particolar modo alle giovani generazioni di oggi e di domani: “Voi mi vedrete, perché io vivo, e voi vivrete!” (Gv 14, 19)”
(leggi cliccando qui integrale omelia Beatificazione).
“Atleta temerario, burlone, attivista implacabile e mistico inaspettato!“; così lo ha definito uno dei suoi biografi, tratteggiando l’icona di un cristiano dinamico, volitivo, pieno di vita, la cui “esistenza fu avvolta interamente dalla grazia e dall’amore di Dio e fu consumata, con serenità e gioia, nel servizio appassionato a Cristo e ai fratelli. Giovane, visse con grande impegno la sua formazione cristiana e diede la sua testimonianza di fede, semplice ed efficace.
Un ragazzo affascinato dalla bellezza del Vangelo delle Beatitudini, che sperimentò tutta la gioia di essere amico di Cristo, di seguirlo, di sentirsi in modo vivo parte della Chiesa” (Benedetto XVI, Discorso ai giovani 2 maggio 2010-Torino).
Un Santo che parla della giovinezza, della freschezza dell’annuncio del Vangelo, da lui pienamente vissuto, e che invita ogni credente, in particolare i giovani, a puntare “verso l’alto”, come lui ha scritto su una fotografia della sua ultima scalata con gli amici, del 7 giugno 1925, che lo ritrae aggrappato ad una roccia delle Valli di Lanzo, mentre il suo volto è proteso verso il Cielo.
“Verso l’alto!”.
Pier Giorgio apre “la strada per sperimentare in pienezza la forza e la gioia del Vangelo” (Papa Francesco, Torino, 21 giugno 2015) nel quotidiano e nell’attualità: innamorato delle montagne, spesso si recava a piedi, all’alba e digiuno al Santuario di Oropa, partendo da Pollone, per poi rientrare cantando ad alta voce le Litanie in onore di Maria.
“Sembra che si possa applicare a Pier Giorgio” – così scriveva nella prefazione alla raccolta delle sue Lettere Don Luigi Sturzo – “il versetto 32 del salmo 118 che dice: «Ho corso la via dei tuoi precetti appena tu allargasti il mio cuore».
E se egli si era affacciato alla vita terrena, e ne aveva sentito gioie e dolori, piccole amarezze e disappunti, e noie e risentimenti, aveva composto tutto questo piccolo tumultuare, nell’anelito del bene, nell’apostolato dell’azione cattolica e sociale, nella carità verso i poveri, ultimo suo slancio e occasione del sacrificio della sua vita”.
Dn 7, 13-14
Dal libro del profeta Daniele.
Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.
Sal.92
RIT: Il Signore regna, si riveste di splendore.
Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza.
RIT: Il Signore regna, si riveste di splendore.
È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre,
dall’eternità tu sei.
RIT: Il Signore regna, si riveste di splendore.
Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.
RIT: Il Signore regna, si riveste di splendore.
Ap 1, 5-8
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Gv 18, 33-37
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
***
UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA
La regalità dell’amore
(Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18, 33-37)
Pilato, dopo aver incontrato i sommi sacerdoti e le autorità religiose, che hanno consegnato Gesù al potere romano come un malfattore richiedendone la morte, fa chiamare Gesù per incontrarlo.
Forse aveva sentito parlare dei suoi miracoli, della sua fama, della sua grandezza fino ad essere considerato il re dei Giudei.
Su questa identità regale Pilato interroga Gesù, lui che come procuratore doveva difendere e far rispettare la regalità dell’imperatore.
Quando vede Gesù sa che è stato tradito dalla sua gente e dalle autorità religiose, un re rifiutato e respinto, un re condannato a morte.
Gesù risponde alla domanda di Pilato con un’altra domanda forse tesa a incoraggiare una ricerca personale del procuratore verso di lui.
Pilato indispettito prende le distanze: “non sono un giudeo e la mia parola si basa su quanto ho ascoltato da coloro che ti hanno consegnato a me”.
E procede con una seconda domanda: “cosa hai fatto?”.
Gesù riporta il dialogo sulla sua regalità e sul suo regno che non è di questo mondo.
Se il suo potere fosse come quello dei re della terra, i suoi sudditi avrebbero combattuto per difendere, consolidare, accrescere il potere e il dominio.
Queste logiche Pilato le conosceva bene e alla fine proprio per difendere la sua posizione con l’imperatore lascerà condannare a morte Gesù, pur ritenendolo innocente. Prosegue il dialogo che continua a mettere a fuoco l’identità regale di Gesù: Pilato si aggancia all’affermazione del Signore sulla propria regalità e gliene chiede conferma, forse non senza un velo di sarcasmo: “dunque tu sei re?”.
Difficile a credersi ora che Gesù è prigioniero del potere romano; che invece di difendersi dalle accuse ingiuste, di tentare di imbonirsi il procuratore, sembra voglia cadere nel tranello, nelle trame ordite contro di lui.
Anche ora non pensa a se stesso, si concentra su Pilato cercando di portarlo su un altro piano, che non è di questo mondo.
Esiste una regalità diversa da quella conosciuta, la regalità di chi sa perché è nato e venuto nel mondo.
Gesù sa che è giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre e di portare a compimento la sua testimonianza della verità, la verità dell’amore di Dio che ha mandato suo figlio nel mondo perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Gesù che fugge quando la folla entusiasta per i suoi miracoli vuol prenderlo per farlo re (Gv 6,15), ora ridotto all’impotenza dichiara la sua regalità senza la possibilità di fraintendere quanto sia diversa da quella dei grandi della terra.
Il regno di Dio non è stato inaugurato con una dominazione militare, ma con l’arresto del suo re.
Non è stato imposto con una solenne cerimonia, ma con un condannato a morte di croce.
Cristo è fuggito quando lo cercavano a furor di popolo per farlo re, e si è dichiarato di essere tale davanti a Pilato, prigioniero e in balìa degli altri: “Io sono re”.
Ma sappiamo perfettamente la sua idea: “I re dalla terra dòminano.
Chi vuole essere il primo diventi l’ultimo, il servo di tutti”. Di fronte alla mentalità giuridica e politica, Gesù rivela una funzione del tutto superiore: la funzione di rendere testimonianza alla verità, alla verità che è fondamento di tutto.
Nel suo essere innalzato sulla croce ci mostra l’amore del Padre, attira tutti a sé.
Le Sorelle Carmelitane
Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza
Dn 12, 1-3
Dal libro del profeta Daniele.
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
Sal.15
RIT: Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.
RIT: Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.
RIT: Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.
RIT: Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Eb 10, 11-14. 18
Dalla lettera agli Ebrei.
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
Mc 13, 24-32
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
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UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA
Credi e sarai salvato
(Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32)
Sul finire dell’anno liturgico la Parola che oggi ascoltiamo ci evidenzia due eventi distinti tra loro: il rapimento riguardante i credenti e il ritorno del Figlio dell’uomo con potenza (giorno del giudizio, dell’ira di Dio sugli empi). Il rapimento degli eletti è la speranza dei credenti, ma solo osservando l’intera Scrittura è rettamente inteso. Similmente è frainteso il giorno del giudizio.
Ma se guardiamo nella Bibbia, fin dal principio Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina, e li benedisse.
Ancor prima che dilagasse la violenza del genere umano (Gn 6) per l’infedeltà alla vocazione alla santità, Dio volle sottrarre alla corruzione del mondo tutti gli uomini perduti.
Questi, a differenza di altri, si autogiudicano e cercano la loro salvezza in Dio, comprendendo che l’amicizia con Lui è l’antidoto al male che abita il cuore umano.
È il caso di Enos, figlio di Set, figlio di Abele.
Con lui si ricominciò a cercare Dio.
Poi Enoc, che fu portato via (rapito) perché la sua fede piacque a Dio.
Così pure Elia profeta, sottratto alla morte per aver scelto di rompere con questo mondo condannato dalla sua stessa incredulità e autosufficienza. Molti sono gli uomini che furono rapiti da Dio: Gesù è il Figlio che lo attesta risorgendo da morte.
Basta leggere le numerose guarigioni e liberazioni dal male che abbondano con la venuta di Cristo nel mondo, apparso per distruggere le opere del divisore, il Satan, l’antico ingannatore che insinuò nell’uomo dubbio e menzogna sul disegno di Dio. Chiediamoci se conosciamo lo scopo per cui ci ha creati e salvati. Perché Dio chiama e prepara a questo, per riconciliarci a sé. Conoscere Dio è riconoscere il vero Dio che prima non si voleva conoscere (Sap 12,27); è conoscere la verità che conduce alla pietà (Tt 1,1).
Fidiamoci della Parola viva di Dio, efficace per insegnare, correggere ed educare alla giustizia, perché l’uomo sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2Tm 3,16-17). Conoscere la potenza di Dio è radice di immortalità, è giustizia perfetta (Sap 15,3).
Chi crede alla predicazione della fede conosce il Vangelo della salvezza e si apre alla speranza che non delude, poiché l’amore di Dio si riversa nel cuore facendo sorgere la certezza d’essere destinati ad ottenere salvezza per mezzo della fede in Gesù Cristo, che ci sottrae all’ira di Dio. Chiunque crede non è condannato, ma chi non crede lo è già, perché respinge la grazia di Dio, che è Cristo stesso.
Autoescludersi porta il mondo al giorno della grande tribolazione e dunque al giudizio, che è la seconda venuta di Gesù per gli increduli. Ma il rapimento è per la Chiesa, per i credenti chiamati a essere prima Corpo di Cristo, per poi divenire Sposa di Cristo.
Pellegrina e straniera, la Chiesa è l’unità di coloro che si riconoscono peccatori salvati per grazia (Ef 2,5). È Cristo infatti a riunire il suo Corpo perché il male non lo vinca.
A noi sta desiderare questa unità per cui Gesù ha dato se stesso per farci sua Sposa per sempre.
Le Sorelle Carmelitane
Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza