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NOTIZIE DALLA PARROCCHIA DI S. ANNA IN BORGO REVEL - Un anniversario che sa di futuro. Nel ricordo di Don Giuseppe Boero a due anni dalla sua scomparsa      

Chi muore non è perduto, è giunto prima di noi nella luce di Dio. Riposa nella pace dei giusti, rivive nei nostri ricordi

Crescentinese

(elisabetta acide) – Gli anniversari sono sempre occasioni preziose, intanto per riunirsi a pregare, perché ci fanno ricordare e lo sappiamo, i ricordi, sanno “restituire” grazie al tempo ed allo sguardo più consapevole e “saggio”, ciò che magari non abbiamo colto, non abbiamo compreso, non abbiamo apprezzato in pieno.

Gli anniversari dei defunti, persone che sono state tra noi, sono ancora di più un’occasione preziosa per riflettere, per fare memoria delle storie che abbiamo incrociato e delle parole che sono risuonate in noi.

Se pensiamo alla vita della nostra comunità parrocchiale e la pensiamo a due anni dalla scomparsa di don Giuseppe Boero, non possiamo non fermarci un momento a riflettere e pensare al nostro cammino comunitario di oltre 40 anni (seppur non con continuità stanziale). Le vite sono dei mosaici in cui ci sono tasselli fondamentali che non possono mancare, perché toglierebbero significato e valore a tutto il resto e don Giuseppe è stato per tutti una tessera nella nostra vita.

C’era un giovane parroco pieno di entusiasmo per chi l’ha conosciuto, per chi è cresciuto con lui, per chi l’ha sentito “tuonare” dal pulpito… c’era per le feste e scampagnate fuori porta, per i campeggi, c’era per accompagnare con la parola e la presenza costante le sofferenze, per i defunti, per i momenti di difficoltà, c’era con la sua fretta e con la sua “velocità”, ma c’era anche con le sue parole, poche ma precise, con la sua presenza e la sua intelligenza.

La Comunità lo sappiamo, non è “Immagine” del Parroco e neppure il parroco è immagine della comunità, eppure la comunità ha bisogno del sacerdote e quando il presbitero è presente, la Comunità’ cresce e cammina. Certamente nel progetto misterioso di amore che Dio aveva c’eravamo anche noi ed Egli, chiamandolo al sacerdozio, lo ha fatto diventare pastore di questo piccolo gregge della pianura ai confini della Diocesi, che ha saputo germogliare. Forse non era immediatamente “empatico”, eppure ha saputo farsi amare, ha curato le nostre ferite, ha asciugato le nostre lacrime, ci ha accolto come figli, ci ha portato sulle spalle come il Buon Pastore, ci ha abituato a cercare pascoli e ci seguiva, sperimentando, provando, lasciandoci fare e sbagliare, ma sempre con noi, ci ha confortato con parole piene di speranza e di incoraggiamento.

Era un “uomo del Concilio”, ci ha sempre creduto, in quella Chiesa che aveva avuto il “coraggio della profezia” nel mondo moderno, forse con uno stile “personale” ma aperto ai “segni dei tempi”. Ci ha abituati alla “sostanza” e non alla “forma”, con le sue omelie, veloci ma pungenti, rapide ma “puntuali”, la Parola di Dio entrava in noi e germogliava. A tanti di noi ha dato fiducia e li ha chiamati a collaborare nei servizi della parrocchia, ci ha saputo valorizzare e accompagnare. Tutti hanno ricevuto un gesto, un consiglio, un aiuto e nei momenti di maggior dolore parole di consolazione e di speranza. Amava il suo ministero sacerdotale, amava la sua parrocchia.

Ha innalzato un “muro” nel momento di incomprensione, ma ha saputo “ritornare” con obbedienza alla richiesta del Vescovo, dandoci ancora una volta, esempio di disponibilità.

Amava i giovani con i quali ha sempre saputo essere giovane.

Nel linguaggio, negli abbracci, nel sorriso, anche da anziano, appoggiato all’altare per il mal di schiena o per la fatica, la messa e le celebrazioni non sono mai mancate, con ironia a volte ci “rimproverava”, ma lo sappiamo, ci voleva bene.

Visitava i malati capendo, vivendo spesso la sofferenza di persona, quanto la malattia ci avvicina a Cristo e ci rende ancora membra viva della comunità.

Sapeva costruire amicizie vive e durature con tante persone.

Sapeva guardare lontano e aveva uno stile umanissimo di annunciare il Vangelo facendo del Vangelo la notizia più umana di speranza.

Tanti sono i ricordi che lo legano inseparabilmente ai nostri cuori ed ognuno di noi conserverà un ricordo particolare, unico, personale. Ma la vita prosegue, altrimenti non saremmo uomini, non saremmo qui a parlare di lui, non saremmo qui a pregare per lui, a pensarlo già dove speriamo sia: nella contemplazione del volto del Risorto. Sarebbe contento oggi della sua parrocchia? Della sua comunità un po’ “sulla soglia”? Di coloro che si sono “allontanati” e di coloro che non “frequentano” più perché non c’è più lui?.

Gli anniversari servono non solo a ricordare e riflettere sul passato, ma a raccontare e sognare il futuro con il desiderio della comunità.

Noi siamo qui e siamo con un nuovo parroco, a noi che restiamo qui è chiesto di rispondere con prontezza al Signore che sempre ci precede per indicarci la strada da percorrere.

Questa strada noi siamo chiamati a seguirla con lo stesso slancio che abbiamo imparato con le “sgommate” dell’auto, ad ogni arrivo di don Giuseppe in piazza, con la sua stessa passione, ognuno di noi è chiamato ad essere ciò che è, ma come cristiani siamo “chiamati” a essere comunità, insieme, ciascuno secondo i propri carismi, ciascuno secondo le proprie caratteristiche, ciascuno provando a migliorare e cooperare, secondo quanto vede ed impara.

L’anniversario ci ricorda che siamo di passaggio e lasciamo un segno, i sacerdoti ancora di più, per vocazione chiamati a essere guida, presenza costante, impegno per la crescita di tutti e della comunità. Il nostro è un grazie a Dio per averci donato don Giuseppe, un grazie che si apre all’impegno e diventa sorgente di fiducia e di pace profonda nell’affrontare il presente e il futuro. Facciamoci assidui nella preghiera, quella autentica, nella frazione del pane e nella comunione fraterna, facciamoci comunità in cammino, perché i ricordi dei sacerdoti siano la nostra fonte di ispirazione, preghiamo Dio che ci dia coraggio e pazienza e ci custodisca, ci consoli, ci faccia testimoni in comunità memori e riconoscenti.

L’uomo è chiamato a Dio e “non può ritrovarsi pienamente, se non attraverso un dono sincero di sé” Gaudium et Spes, n.2

Redazione di Vercelli

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