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Il pungiglione della morte è il peccato

IN PRINCIPIO ERA IL VERBO - Letture dalla Liturgia di Domenica 27 febbraio 2022 - "Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto" - Commento delle Suore Carmelitane di Biella - Video Omelia di P.Fernando Armellini - 

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

Provincia di Vercelli

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Dal Libro del Siracide, Cap. 27, 5 – 8

Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti;
così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti.
I vasi del ceramista li mette a prova la fornace,
così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo.
Il frutto dimostra come è coltivato l’albero,
così la parola rivela i pensieri del cuore.
Non lodare nessuno prima che abbia parlato,
poiché questa è la prova degli uomini.

Dal Salmo 91

È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.

Dalla Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, Cap. 15, 54 – 58

Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
“La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”.
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!
Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Dal Vangelo secondo San Luca, Cap. 6, 39 – 45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
“Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero, infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

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COMMENTO DELLA SUORE DEL MONASTERO MATER CARMELI DI BIELLA

Cambiare la posizione delle bisacce

Chi non è cieco? Chi avrà tolto la trave dal proprio occhio.

Il vangelo di oggi ci invita a domandarci perché guardiamo e consideriamo la pagliuzza nell’occhio del nostro fratello e sorella, senza prima accorgerci e togliere la trave che pesa e impedisce in noi uno sguardo sereno, benevolo, positivo, capace di rimpicciolire piuttosto che esagerare i difetti altrui.

Questo avvertimento tocca quella naturalità che ci porta ad usare una misura diversa e inversa a quella che il Signore ci suggerisce. Concentrati sui difetti degli altri, che certamente danno fastidio, finiamo per non accorgerci più dei nostri, che pure danno fastidio.

Qui potremmo citare un’antica favola di Esopo dove si racconta che ogni uomo, entrando nel mondo, si trova due bisacce appese al collo: davanti quella piena dei vizi altrui, dietro quella piena dei vizi propri. Ci vuole coraggio per cambiare la posizione delle due bisacce! A questo il Signore ci invita per usare la giusta tattica nel riconoscere e togliere il male, che è quella di cominciare a farlo a partire da noi stessi. Gesù non nega la bontà e necessità della correzione fraterna, ma mette in guardia sulla giusta modalità nel viverla. Un cieco non può guidare un altro cieco.

Solo chi ha il coraggio di accorgersi della sua trave, di quello che personalmente ha bisogno di conversione, potrà comprendere senza giudicare, senza esagerare, la debolezza che riuscirà a vedere bene in sé e nel proprio fratello.

Vedere diventa così comprendere e saper vivere una misura traboccante di misericordia nelle nostre relazioni, che avranno il coraggio della verità e del camminare insieme, non per cadere in un fosso privi di prospettiva e di cammino futuro, ma in cordata, sapendo che l’unico punto giusto dal quale possiamo partire per cambiare il mondo è noi stessi.

La sfida della parola che ci raggiunge è dunque nell’umiltà di spostare lo sguardo da fuori a dentro di noi, non per rimanere ripiegati o per condannarci, ma per darci la possibilità di camminare più leggeri, senza travi che appesantiscano e impediscano l’esprimersi al meglio della nostra umanità e delle nostre relazioni.

L’occhio, la coscienza libera dalla trave, dall’oscurità, matura frutti buoni che sono quelli che appartengono e procedono dallo Spirito: amore, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. L’albero risanato produce frutti buoni, dall’abbondanza di un cuore guarito procedono parole buone. Il primo frutto del cuore è la parola, la bocca, infatti, esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

Il Signore ci aiuti a far abitare la sua parola nel nostro cuore, parola che giova a noi e a chi l’ascolta, che serve alla edificazione vicendevole nella carità, parola di benedizione, libera dall’ira, dallo sdegno, dal risentimento, ricca invece di misericordia e capace di perdono; la parola del Vangelo che ogni giorno il Signore ci offre e ci dona come il grande tesoro da accogliere, custodire, vivere e annunciare!

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza

(Illustrazione: La pagliuzza e la trave – Ottmar Elliger il Giovane (1666–1735).

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