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BORGOSESIA, IL 25 APRILE PER VINCERE L'INDIFFERENZA - "Odio gli indifferenti" - Il 78.mo Anniversario della Liberazione occasione per ricordare che il futuro può essere nelle nostre mani - IL VIDEO con l'integrale del discorso ufficiale affidato a Elisabetta Dellavalle - La GALLERY 

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela

Una cerimonia per non dimenticare il passato e proiettarsi verso il futuro.

Questa è stata la celebrazione della Festa della Liberazione, in occasione del 25 aprile a Borgosesia.

In prima mattinata, Autorità, Partigiani, Associazioni combattentistiche e d’arma e cittadinanza si sono dati appuntamento davanti al Municipio.

Da lì, accompagnato dalla Banda Musicale cittadina, il corteo si è recato ad Aranco per la deposizione della corona d’alloro al Monumento dei Caduti.

Il gesto simbolico si è ripetuto davanti al Monumento della Torre campanaria e al quello dei giardini pubblici.

Il sindaco borgosesiano Fabrizio Bonaccio ha fatto gli onori di casa, sottolineando l’importante significato di questa data.

E’ seguita la toccante orazione della professoressa Elisabetta Dellavalle, consigliere dell’Istituto per la storia della Resistenza nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia.

Tante le persone intervenute per questo appuntamento.

La mattinata si è conclusa con la Santa Messa in Chiesa parrocchiale, celebrata da don Gianluigi Cerutti.

Si è così rinnovata una commemorazione che serve per ricordare e sensibilizzare i più giovani.

Di seguito: il video con alcuni scampoli dei brani musicali offerti dalla banda e, a seguire, tra poche righe, il testo dell’intervento integrale della Prof. Dellavalle.

***

Odio gli indifferenti.

Orazione ufficiale 25 aprile 2023

Città di Borgosesia
di Elisabetta Dellavalle

 

“Odio gli indifferenti.

Credo che vivere voglia dire essere partigiani.

Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.

L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.

Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia.

L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.(…)

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.

Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.(…)

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo.

E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.

Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Nel febbraio del 1917 Antonio Gramsci si rivolge ai giovani con un numero unico del giornale socialista ‘La Città futura’.

E’ un testo profetico, nel quale con forza quasi disumana l’autore anticipa ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, nel Ventennio fascista.

Rileggendo affermazioni come ‘La massa degli uomini abdica la sua volontà’ e ‘Lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare’ e ‘Lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare’ ci ritroviamo nella nostra piena attualità, contrassegnata da un pericoloso assenteismo elettorale, atteggiamento ‘indifferente’ che apre la strada alla realtà dell’oggi.

Gramsci, profetico, più di un secolo fa segnava la strada.

Noi poco attenti, indifferenti. Siamo ‘la massa che ignora, che non se ne preoccupa’. Pensiamo che ciò che è stato non possa tornare, crogiolandoci nei successi di chi ci ha preceduti. Nulla di più sbagliato, la Storia ci insegna quanto sia facile reiterare gli errori del passato, soprattutto quando ‘l’indifferenza strozza l’intelligenza’.

Invece la ‘città futura’ idealizzata da Gramsci è costruita da tutte e da tutti, è ‘intelligente opera dei cittadini’ che ‘non piagnucolano o bestemmiano’ e ‘non stanno alla finestra’ a guardare i ‘pochi che si sacrificano e che si svenano’ per il bene comune.

Ecco, oggi siamo qui proprio per questo.

Per ricordare e ringraziare chi non è stato alla finestra.

Ecco perchè mi onora nel profondo essere qui con voi, oggi, 25 aprile 2023 nel 78° anniversario della Liberazione. Per questo ringrazio tutte le autorità presenti, ecclesiastiche, militari e civili e soprattutto l’Anpi di Borgosesia, che mi ha gentilmente invitata. Ringrazio anche voi, per la partecipazione e la condivisione. Voi che appartenete a questa comunità tanto toccata dalla ferocia nazifascista e avete patito, tra l’inverno del 1943 e l’estate del ’44, stragi efferate compiute ai danni di partigiani e di civili. Commemoriamo quindi i martiri di Borgosesia: fucilati contro il muro della chiesa di Sant’Antonio il 22 dicembre 1943, in piazza Frascotti l’11 aprile del 1944 e l’18 luglio del 1944 presso il Cimitero di Borgosesia. I morti delle retate del 19 luglio 1944 a Rozzo, Lovario, Bastia, Marasco, e Borgosesia e quelli della ‘Battaglia di Romagnano’, che si svolse il 16 marzo del 1945 in 3 luoghi: Fara, Romagnano e Borgosesia.

Nello scorrere le biografie di questi nostri partigiani salta subito all’occhio la loro data di nascita, molti sono ragazzi: hanno 16, 17, 18 anni, e vengono fucilati da adulti senza vergogna.

Mi onora essere qui con voi a ricordarli stamattina. Mi onora come cittadina, come parte della comunità di queste belle montagne della Valsesia e come nipote di partigiano caduto in battaglia: i miei nonni Cristina e Flaminio Dellavalle erano di Civiasco e il loro primogenito, mio zio Antonio Dellavalle, è caduto in Istria, dov’è ancora sepolto, nel gennaio del 1944. Anche lui non aveva ancora compiuto 17 anni. Scappato dalla casa di Vercelli per non subire la chiamata dell’esercito repubblichino alla leva del ’27 e per partecipare alla costruzione di ‘un mondo migliore’, prende il nome di battaglia’ Enrico’ in onore di suo cugino, Enrico Dellavalle, poi caduto all’Alpe Fej.

“Cari genitori, dopo lungo preparamento e meditazione ho deciso di abbandonare per un dato tempo Vercelli, per motivi che vi spiegherò in seguito e a suo tempo, non preoccupatevi della mia indeterminata assenza e non pensate male di me.

“Avrete presto mie notizie, in quanto al mio impiego avvertite il mio principale che non ci vado più a lavorare, e vi prego di ritirare il mio libretto e di consegnare il distintivo e il lasciapassare diurno. Parto in compagnia e prego inoltre voi con tutto il cuore di non parlare con nessuno della mia partenza. Tanti saluti e arrivederci a presto. Antonio

P.S. Non avvertite la Questura che al giorno d’oggi è un Comando Tedesco e certo voi dubitate il posto della mia destinazione”.

La scomparsa da casa e poi la morte di Antonio, come tanti partigiani poco più che un bambino, fu la ferita aperta nel cuore della famiglia, l’assenza ‘acuta presenza’ che mi ha insegnato fin da bambina da che parte stare, senza se e senza ma.

Una piccola storia famigliare che, identica a quella di decine di migliaia di altre piccole storie famigliari, ha contribuito a creare l’Italia com’è oggi: Repubblicana, Democratica e soprattutto Libera.

Sono qui insieme a voi per ribadire fortemente che anche lui, come i 45.000 partigiani caduti in  battaglia, non è morto invano. Non è stato alla finestra. Sono usciti di casa ed hanno iniziato a Resistere.

Anche se, come sempre ci ricordava l’amato Pertini,“l’antifascismo nasce nel 1919 contro le prime malefatte dei Fasci di Combattimento”, è dall’8 settembre 1943, proprio come sperava Gramsci, che soprattutto i giovani prendono consapevolezza dell’importanza del  ‘fare’ e a credere nella Resistenza e nei suoi valori fondanti.

“Edda, mi hanno condannato alla morte, mi uccidono; però uccidono il mio corpo non l’idea che c’è in me. Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa, per una giusta causa e spero che il mio sacrificio non sia vano anzi sia di aiuto nella grande lotta. Di quella causa che fino a oggi ho servito senza nulla chiedere e sempre sperando che un giorno ogni sacrificio abbia il suo ricompenso. Per me la migliore ricompensa era quella di vedere fiorire l’idea che purtroppo per poco ho servito, ma sempre fedelmente”: quando Bruno Frittaion, nome di battaglia Attilio, scrive alla sua amata Edda ha 19 anni, dopo l’8 settembre lascia la scuola per le montagne e le SS italiane lo catturano e lo fucilano a Terceto, Udine, il 31 gennaio 1945. Pochi mesi ancora e ce l’avrebbe fatta: avrebbe visto, in quel 25 aprile del ‘45, ‘fiorire l’idea che ha servito fedelmente, purtroppo per poco’. Nel leggere e rileggere queste toccanti ‘Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana’ lascia sempre stupiti la forza e la speranza che da esse traspare: stanno per essere uccisi, hanno subito sofferenze e patimenti, eppure sono loro a consolare chi resta, a mandare messaggi di speranza per un futuro chiaro e luminoso, a dettare le regole di un Mondo migliore. ‘Non un libro ma un’Azione’, non a caso così lo definisce il poeta e saggista Franco Antonicelli.

A volte ci si sente un po’ in colpa nei loro confronti: non sempre siamo stati, o siamo, all’altezza delle loro aspettative. Non li abbiamo ascoltati a dovere.

“Una idea è una idea e nessuno la rompe. A morte il fascismo e viva la libertà dei popoli.”: anche Luigi Ciol, il partigiano ‘Resistere’, ha 19 anni come Bruno quando scrive questa iconica frase, sinossi totale di tutto l’antifascismo. Anche lui viene ucciso a pochi giorni dalla Liberazione, quando la ferocia nazifascista si fa più cupa, il 9 aprile del 1945. Trovo eccezionale la semplicità con la quale questo ragazzo dapprima scelga come nome di battaglia, che tra i partigiani è il simbolo di appartenenza e di identità talmente forte da sostituire quello di battesimo, l’essenza stessa della sua azione, il suo ‘Resistere’, e poi riesca a dire con tanta semplicità estrema l’unica, grande, verità: le idee buone, giuste, umane, non solo non muoino mai ma neppure si rompono. E la sua lettera termina con un gioioso ‘Viva la libertà dei popoli!’. Eccola qui, la vera Resistenza: non importa quanti ne ucciderai, la loro idea resta lì, nell’aria che tutti respiriamo, della quale tutti ci nutriamo. Un’idea dalla quale nasce la nostra Costituzione.

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”: avrete riconosciuto questa frase, è Pietro Calamandrei che ricorda alle nuove generazioni la strada che devono percorrere: tornare alle radici della nostra Democrazia, la Resistenza, per studiare e rispettare la nostra Costituzione.

Mi piace ricordare che l’esigenza di una Costituzione nasce ancor prima dell’Italia repubblicana: il 16 ottobre 1943 il CLN, Comitato di liberazione nazionale, da poco costituito e ancora operante in clandestinità, la chiede con forza a Vittorio Emanuele III che si rifiuta. Nella seguente fase luogotenenziale grazie al nuovo Presidente del Consiglio Bonomi e i partiti del CLN da una parte, e il Re, dall’altra – mediazione di Enrico De Nicola – nasce la “Costituzione provvisoria” che all’art.1 reca un impegno a deferire le fondamentali scelte costituzionali al popolo italiano, “che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, una assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato”.

La Costituzione, quindi, è la Madre della nostra Repubblica ma è la figlia, forse la figlia maggiore, la più salda e fedele, della Resistenza.

A scriverla, come sappiamo, i 556 membri eletti all’Assemblea nel corso del referendum del 2 giugno 1946: una data storica, la data fondante della nostra Nazione, perché quella data stabilisce una linea precisa tra il Prima e il Dopo.

La linea precisa tra Fascismo e Antifascismo, come ci ricorda il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky in merito all’assenza della parola “antifascismo” dalla Carta Costituzionale:”Se manca ‘antifascismo’ è ben presente la parola ‘fascismo’, legata al suo divieto radicale. La dodicesima disposizione transitoria della Costituzione fa divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma. Richiamo l’attenzione su ‘sotto qualunque forma’: i nostri padri costituenti erano ben consapevoli che era una questione di sostanza, non di forma”.

Il 2 giugno 1946 è dunque la linea precisa tra Monarchia e Repubblica, la linea precisa tra Dittatura e Democrazia, la linea precisa tra Discriminazione e Uguaglianza: votano infatti, e per la prima volta con un ritardo storico vergognoso, anche le donne: molte di loro, soprattutto le giovani del centro nord, votano per la Repubblica ed hanno contribuito fattivamente alla guerra di Liberazione. Incuranti dei divieti ancestrali di padri, fratelli e mariti, le donne corrono alle urne con percentuali incredibili, la loro presenza fu altissima:  soprattutto al Sud e nelle Isole superò quella maschile.

Da non credere. Era la fine del Silenzio.

Donne che votano le Donne. Anche se le elette all’Assemblea Costituente, quelle che chiameremo le ‘madri della Repubblica’, sono solo 21 su 556 componenti, cioè il 3,78%, rappresentano, nelle giuste percentuali tutto il variegato mondo politico del tempo, il Partito Comunista e quello Socialista, la Democrazia Cristiana e il Partito dell’Uomo qualunque, e tutte le classi sociali e le professioni. Quattordici sono laureate e molte sono insegnanti, giornaliste, una è sindacalista, un’altra casalinga. Sono persone comuni diventate straordinarie, sbalzate anche loro nella Storia dalla ribellione morale al fascismo, dalla attività clandestina nei Gruppi di difesa della donna, nella Croce rossa o nel Soccorso rosso, nei gruppi partigiani combattenti. Per molte di loro scrivere la Costituzione è il giusto approdo di tante lotte e sacrifici. Molte di loro hanno fatto dell’antifascismo una regola morale di vita ben prima dell’inizio della guerra. Come Adele Bei che, condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a 18 anni di carcere per attività antifascista, così risponde ai giudici del Tribunale fascista che la spingono a denunciare i compagni facendo leva sui suoi figli piccoli restati in Francia:“Non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà, pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia”. Un coraggio che non si aspettano da una donna. E lei non parla. Partigiana combattente a Roma con il grado di capitano e Croce di guerra al valor militare. Lunga vita di impegno la sua, tra la politica con il PCI, unica donna nel primo Senato e due volte deputato, e la CGIL. Sempre in lotta per il bene dei lavoratori, delle famiglie e, con avveniristica visione, per una degna riforma del sistema carcerario. Partigiana fino all’ultimo, come tutte le altre. Come tutte queste donne che hanno portato nella nostra Costituzione la potenza e il coraggio delle loro idee. Anche nella Commissione dei 75, che ha il compito di redigere il testo finale, le donne sono pochissime: 5 su 75, appunto. Tre di loro sono partigiane combattenti: Teresa Noce, detta Estella,  Maria Federici e Nilde Jotti, che resterà in Parlamento 53 anni e sarà per ben tre volte rieletta Presidente della Camera. Le altre sono Angela Gotelli, che si batte per i diritti delle donne e Lina Merlin, che dona il suo nome alla Legge che abolisce la prostituzione legalizzata in Italia. Di lei mi piace raccontarvi anche, amica fedele di Giacomo Matteotti, dopo il suo brutale assassinio viene arrestata 5 volte in due anni e che nel 1926, l’anno delle Leggi Fascistissime, viene licenziata perché come insegnante si rifiuta di prestare il giuramento di fedeltà al regime, obbligatorio per gli impiegati pubblici. Atti di semplice e puro eroismo. Atti di chi sa da che parte stare.

Vi invito ad approfondire le biografie di ognuna di queste 21 donne con più calma, perché nelle loro storie personali, storie eroiche di donne comuni, possiamo ritrovare lo spirito stesso della Resistenza, tanto faticoso quanto femminile.

Nel concludere torniamo all’inizio: vent’anni dopo aver scritto ‘Citta Futura’, in una data nuovamente profetica, il 25 aprile 1937, proprio nel giorno in cui sarebbe stato scarcerato dopo anni di detenzione politica, Antonio Gramsci viene colpito da un’emorragia cerebrale. Muore due giorni più tardi, il 27 aprile e il giorno successivo, sotto una pioggia scrosciante, viene cremato al Verano, le ceneri portate al cimitero acattolico di Roma.

“Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti coi quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza. Non posso non ricordare che la mia coscienza di uomo libero si è formata guardando sempre ai luminosi esempi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Minzoni e di Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di carcere. Ricordo questo con orgoglio, non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce, né in morale, né in politica”:da queste parole resistenti del partigiano Sandro Pertini, alle parole partigiane del resistente Sergio Mattarella che, in visita a Birkenau lo scorso 18 aprile ha sottolineato come L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli”.

Indifferenza, Costituzione, Repubblica eccole le parole, le pietre miliari di oggi: grazie alla Lotta partigiana contro l’Indifferenza l’Italia antifascista e libera ha saputo scrivere la Costituzione più bella del mondo e, grazie al sacrificio di chi non è stato alla finestra, è stata costruita questa nostra Repubblica: magari un po’ affaticata e smemorata ma per sempre Democratica, Libera e Antifascista!

Salutiamoci con le ultime parole del partigiano Mingo, Domenico Fiorani, fucilato dai fascisti a piazzale Loreto il 10 agosto del 1944.

Uno dei 45.000 che non stettero a guardare.

“Pochi istanti prima di

Morire a voi tutti gli ultimi

Palpiti del mio cuore

W l’Italia!”

Elisabetta Dellavalle

Borgosesia, 25 aprile 2023

Redazione di Vercelli

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