Il sindaco di Quarona, Francesco Pietrasanta, in occasione della ricorrenza del 25 Aprile – Festa della Liberazione ha tenuto un discorso che riportiamo integralmente.
Il mio discorso di oggi:
Buongiorno a tutti.
Un saluto alle Autorità presenti, alle Associazioni d’Arma, ai rappresentanti dell’Anpi, ai cittadini tutti.
Un Grazie al nostro Corpo musicale.
Il 29 settembre 1938: Adolf Hitler incontra a Monaco il premier inglese Neville Chamberlain, il Primo ministro francese Édouard Daladier e Benito Mussolini.
Il mattino seguente firmarono un accordo che permetteva all’esercito tedesco di completare l’occupazione della regione dei Sudeti.
Gran Bretagna e Francia comunicarono al governo cecoslovacco che poteva resistere da solo all’invasione nazista o arrendersi e accettare l’accordo.
Abbandonata dai suoi alleati, la Cecoslovacchia gettò la spugna rapidamente.
Al loro ritorno in patria, Chamberlain e Daladier furono accolti da folle esultanti, convinte che era stato evitato un conflitto militare disastroso con il Terzo Reich e di avere placato le sue ambizioni egemoniche in Europa.
Sei mesi dopo Hitler ruppe l’accordo annettendosi l’intera Boemia e la Moravia.
Maggio 1940: la Germania stava vincendo la guerra e Hitler attendeva con calma la resa dell’Inghilterra.
Dopo la disfatta di Dunkerque, il Regno Unito sembrava avere le ore contate.
Il resto del mondo taceva, con l’Urss in disparte, gli Stati Uniti lontani, l’Italia e il Giappone in agguato.
Il grande storico americano John Lukacs ha spiegato perché il Führer non sferrò subito il colpo di grazia all’esercito britannico: attendeva l’esito del confronto, nel partito conservatore e nel governo, tra il ministro degli Esteri Edward Halifax, Neville Chamberlain (il premier che Winston Churchill aveva sostituito dopo l’occupazione nazista della Norvegia) e lo stesso Churchill.
I primi due erano favorevoli alla ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto che permettesse un accordo di pace con il Terzo Reich. Churchill, invece, era contrario a ogni ipotesi di «appeasement» con i tedeschi.
Il 28 maggio, quando giunse la notizia che il Belgio si era arreso, dichiarò: «La nostra unica speranza è la vittoria o noi cesseremo di essere uno Stato».
Con questa granitica convinzione morale e politica pronunciò i «greatest speeches», i grandi discorsi che animarono la resistenza contro il nazismo fino alla sua sconfitta.
Non c’è dubbio che l’Europa e il mondo intero debbano essere grati all’eminente statista e a tutti coloro che ebbero il coraggio di opporsi alla dittatura.
Morale della favola: si può credere sul serio che, cedendo al ricatto di un tiranno, costui diventerebbe più indulgente? Churchill l’aveva capito.
Oggi chi chiede, di fatto, la resa dell’Ucraina in nome della pace sembra non capirlo.
La storia sarà anche maestra di vita, ma ha sempre avuto pessimi allievi.
Qualche settimana fa insieme alla mia compagna ho visto al cinema il film “La zona d’interesse” dal romanzo di Martin Amis.
Rudolf Höss, direttore del campo di concentramento di Auschwitz, vive con moglie e figli in una splendida tenuta.
Le loro giornate passano all’insegna dell’ordinarietà.
Si rilassano sull’erba, accolgono i suoceri mostrando i fiori coltivati in giardino, hanno discussioni per via degli impegni lavorativi del marito.
Un giorno il padre porta i figli a pescare.
L’idillio viene rovinato ed escono in fretta dall’acqua.
Dal campo di concentramento stanno infatti sversando ceneri e ossa nell’acqua.
La villa della famiglia Höss si trova a un muro di distanza dalle ciminiere di Auschwitz.
Un paradiso artificiale, vicino all’inferno.
Il film si valuta su ciò che non mostra (l’orrore che si svolge accanto).
Sono le orecchie, ad ascoltare in lontananza i suoni delle fucilazioni e le grida di chi tenta la fuga, a raccontare quello che viene celato dalla cinepresa.
Tra gli enigmi del finale e un andamento riflessivo e angosciante, La zona di interesse si propone come un’esperienza di visione.
Ci mette, da spettatori, in condizione di voltare costantemente gli occhi dall’altra parte.
Lo sguardo stesso del film non ha il coraggio di superare quel muro.
Così ci rendiamo conto che far finta di niente, vivere la propria vita come se niente fosse, ignorando le tragedie o addirittura sostenendole, è un atto profondamente disumano.
Ieri, come oggi.
È la quotidianità delle nostre vite, l’accettazione del male.
Qualcuno mi ha detto. Ma per il 25 aprile fai un copia incolla di qualche discorso e te la cavi velocemente.
Ebbene no.
Da sindaco, da cittadino, ho sempre assunto con serietà e convinzione l’importanza di costruire un discorso a ogni avvenimento istituzionale soprattutto se riguardante momenti identitari della nostra libertà e democrazia.
Ma oggi più che mai sento un senso di angoscia e preoccupazione che mi obbliga a evidenziare quanto sia doveroso per tutti riconnettersi rapidamente alla realtà e uscire da quella zona d’interesse che ci rende ciechi.
Non stiamo più vivendo in periodi di pace.
La guerra sfortunatamente infuria attorno a noi e ci minaccia.
Le colonne portanti della nostra libertà, del nostro benessere e della nostra democrazia sono a rischio, fuori e dentro.
Lavoro, sanità, giustizia, crescita economia, innovazione non hanno più quella forza aggregativa che avevano 50 anni fa.
Stiamo decadendo su molti punti di vista e stiamo perdendo competitività rispetto al Mondo.
Soprattutto rispetto a quel Mondo che si trova oltre al muro, a quelle ombre che abbiamo già dovuto combattere in passato.
Questa situazione ci impone di riflettere profondamente su come riorganizzarci, cosa vogliamo e dove vogliamo andare.
Insieme ai nostri fratelli europei, uniti.
Come ha detto il Presidente Draghi dobbiamo attuare un cambiamento radicale in Europa.
Non è solo questione di competitività, come è stato delicato nel dichiarare, a mio avviso è una questione di sopravvivenza.
Questo rischio ci impone di agire come Unione europea in un modo mai fatto prima.
I nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie.
Se vogliamo competere e quindi difendere la nostra libertà e il nostro stile di vita basato sulla democrazia e il mercato libero dobbiamo avere l’ambizione dei nostri padri fondatori che 70 anni fa crearono la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e il coraggio di soldati, di donne, uomini e partigiani che non vollero far finta di nulla o girarsi dall’altra parte.
Oggi con troppa leggerezza sento dire “sono fascista” o “sei fascista”.
Il Fascismo sotto le sue mille forme internazionali, nere o rosse che siano, sta a indicare una sola cosa: tirannia, oppressione, morte.
Noi dobbiamo concentrarci sul combattere questo concetto.
Culturalmente, diplomaticamente e con tutti i mezzi necessari.
Sono convinto che abbiamo tutte le carte giuste da giocarci ma non dobbiamo perdere tempo.
Lo dobbiamo a tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita per donarci la pace di cui abbiamo goduto per decenni.
W l’Italia, W la Libertà e W l’Unione europea!
Il Sindaco
Francesco Pietrasanta
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Redazione di Vercelli