Facendo seguito al video che nell’autunno scorso ci avevano fatto conoscere dei giovani uomini reduci da gravi incidenti stradali, recentemente li abbiamo incontrati in videochiamata.
Emiliano, Luca e Omar hanno risposto per quasi due ore al nostro fuoco di fila di domande.
Noi studenti del corso Servizi socio-sanitari abbiamo scelto un percorso di studi specifico, per cui, abituati al legame disabilità-esclusione sociale, siamo rimasti immediatamente sbalorditi e incuriositi da quanto raccontavano i tre del progetto Di.Di.
“Coraggio” è la parola più adatta per descrivere l’incontro con i protagonisti di questo dinamico viaggio nella complessità di mente e anima: non c’è salute senza salute mentale –si è soliti dire – e i tre “disabili” di “salute” ne hanno da vendere.
Gravemente menomati dopo i rispettivi incidenti, hanno ripreso in mano le redini della loro vita e superato persino la mancanza di un arto; il primo desiderio dopo l’incidente era stato quello di tornare a camminare, poter risalire sulla moto…
Loro non si sono fermati davanti alle proprie paure e questo è il primo insegnamento che hanno testimoniato.
“Ho lavorato sulla consapevolezza, in questi due anni: dobbiamo cambiare noi stessi, accettarci per come siamo” ci ha detto Omar.
Emiliano ha rincarato parlando di “pulizia delle amicizie”: dopo l’ospedalizzazione molti amici si sono eclissati non essendo in grado di valorizzare l’interiorità, perché fermi all’aspetto fisico.
Un’ esplosiva carica ironica traspare da tutte le risposte, per esempio quando ci si vanta della propria bellissima gamba finta, oppure si creano degli slogan abbastanza originali, tipo “La Gioconda non piace a tutti, ma almeno guardiamola” (per evidenziare la reazione degli altri verso un disabile).
L’atteggiamento delle famiglie dopo l’incidente è stato determinante nella riabilitazione, fatto particolarmente sottolineato da Luca.
Queste persone in difficoltà si sono rivelate dei soggetti protagonisti della propria dignità, mai oggetto di un’azione che risolve un problema: sono tornati in sella alla moto, hanno trovato un significato donando agli altri il proprio tempo, senza pretendere niente in cambio.
Hanno apprezzato chi fin dall’inizio le ha trattate da persone “normali” e non solo da pazienti.
Si sono proposte di essere un esempio per i bambini.
E tutto questo spiegato in maniera cameratesca, senza pietismi o tono da predica, anche quando ci hanno spronato a essere “supereroi di noi stessi”, capaci di rinunciare a un bicchiere con gli amici, di non scorrazzare in modo insensato in monopattino….
È stato importante aver dato un segno per trasformare nella gente la concezione della disabilità partendo dai diritti di ciascuno, come individuo che possa sostenere il proprio sviluppo riabilitativo.
Quello che abbiamo capito dopo due ore coinvolgenti è che non si è sani se si fa divenire assoluto il proprio relativo.
Federico Calderaro – Classe 5°A Servizi sociali -Istituto Professionale Lanino
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Redazione di Vercelli