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Quel giovane di 1.700 anni fa che scelse la radicalità evangelica -

SANT'ANTONIO ED I PADRI DEL DESERTO - Lontani dai beni materiali, insegnano anche all'uomo d'oggi il rapporto autentico tra uomo e natura - In Santa Maria Maggiore la benedizione degli animali e dei pani - VIDEO E GALLERY

Oggi protagonisti anche i nostri amici a quattro zampe che condividono ogni giorno la nostra vita

Un’occasione importante, quella odierna, per ascoltare di nuovo la sempre affascinante storia di quel giovane vissuto circa 1. 700 anni fa.

Lo aveva colpito un racconto del Vangelo di San Matteo (19,16-30), che abbiamo udito echeggiare proprio oggi, in Santa Maria Maggiore a Vercelli:

16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19 onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze (…)”.

Il parallelismo è ancora più persuasivo se si legge, dei tre sinottici, questo Vangelo, perché è l’unico ad informarci che quel ricco preoccupato della propria vita eterna fosse un “giovane”.

Ma tutti concordano nel dire che, udita la risposta del Signore, quel ragazzo se ne andò “triste”, rattristato.

Il giovane Antonio, invece, che pure aveva molti beni di famiglia e ne aveva sempre seguito la cura in modo intelligente e diligente, non seppe resistere al richiamo di quella parte così esigente della Parola di Dio e scelse la via, difficile, alla felicità.

Si liberò di tutti gli “averi” e scelse di “essere”, di fare l’eremita, aprendo la strada ad un nuovo e fondativo corso nella vita della Chiesa, nata da poco e ponendo le basi per nuove esperienza spirituali nella lunga e feconda stagione del monachesimo.

Di tutto questo ha parlato l’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Marco Arnolfo, nel corso dell’omelia dettata oggi proprio in occasione delle memoria liturgica del Padre del Deserto: l’omelia è integrale nel video che abbiamo messo a repertorio e che volentieri offriamo perché i sentimenti e gli insegnamenti di questa giornata restino nella disponibilità anche di chi non ha potuto prendervi parte.

Come tradizione, la Festa di Sant’Antonio Abate (del deserto) celebra anche il rapporto tra uomo e natura, tra i tanti soggetti e protagonisti della Creazione.

Molti i valori che questo giorno richiama, a cominciare da quello vissuto sempre intensamente nei campi, luogo di lavoro comune tra l’uomo e tanti animali che ne hanno condiviso le fatiche. Nel corso dei secoli la festa è stata vissuta con particolare condivisione nel mondo rurale, celebrando il lavoro dei campi, che dà il pane: proprio la benedizione e distribuzione del “pane di Sant’Antonio” è segno ancora oggi di quella radice culturale, oltre che spirituale.

Non meno importante, però, il rapporto tra l’uomo e gli animali cosiddetti d’affezione, i nostri piccoli amici a quattro zampe, soprattutto cani e gatti, che vivono con noi tutti i giorni.

A loro è dedicata buona parte della gallery.

Con Mons. Arnolfo hanno celebrato Mons. Pino Cavallone e Don Gian Mario Isacco: padrone di casa sempre perfetto, in rappresentanza della Confraternita omonima, Giulio Pretti.

Hanno animato la liturgia con canti da tutti apprezzati i bambini del coro diretto da  Francesca Borsetti.

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