Bella e semplice Festa al Monastero Mater Carmeli di Biella, dove, ormai da 17 anni, una comunità di Monache carmelitane è diventata poco a poco punto di riferimento per tante persone, non soltanto della Diocesi di Biella, ma anche di quelle vicine di Vercelli ed Ivrea.
Una spiritualità profonda, essenziale, autentica.
Una capacità di “farsi prossimo” per ciascuno di noi e soprattutto per i molti fratelli che, Ospiti della vicina “Casa Speranza” (la “proiezione” non soltanto ideale della comunità monastica) sono stati vittime di dipendenze.
In questo pomeriggio “caldo” e non solo per i sentimenti di fraternità percepiti, la partecipazione vercellese ed eporediese non sarebbe potuta sfuggire al cronista, che certo non era lì per origliare cosa dicessero le persone presenti.
Impossibile, però, non udire un gruppetto di persone, parlare di quel sinistro stradale a Borgo d’Ale capitato in mattinata.
Così come qualcuno discorreva, prima che la S.Messa si iniziasse, della coincidente celebrazione di questa stessa ricorrenza nella parrocchia di Castellamonte: la Beata Vergine Maria del Monte Carmelo è la Patrona dell’intera comunità.
Pare davvero un segno di Grazia, come quel piccolo gruppo di Monache “trapiantato” qui nel 2005 dal Monastero di Carpineto Romano, tre inizialmente, abbia originato una comunità via via più numerosa: più numerosa non soltanto quanto a Consorelle che qui vivono e pregano; ciò è vero anche con riguardo, come si dice oggi, allo “share” di preghiera e spiritualità che da qui promana.
Ogni anno che passa il Monastero è sempre più bello ed anche la pandemia ha – a suo modo – fatto sì che dalla prova nascesse un momento di fecondità, un’idea nuova.
Quella della “Tenda Horeb”, inizialmente pensata per consentire le funzioni religiose in ambiente ove fosse possibile il distanziamento tra persone.
Ora divenuta luogo non più di “distanziamento”, ma di maggiore vicinanza per tanti fedeli in più.
E proprio nella tenda Horeb ha presieduto la S.Messa il Vescovo di Biella, Mons. Roberto Farinella: integrale, nel video di oltre mezz’ora che volentieri offriamo come modesto segno della nostra partecipazione a questa giornata di preghiera e meditazione, l’omelia del Presule.
Poi, la benedizione agli scapolari che sono stati consegnati ai presenti.
Al termine del video, una “sorpresa”, che è dovuta, se premesso, ad una curiosità di chi scrive.
E’ accaduto altre volte che, arrivando al Monastero, l’attenzione fosse catturata da quel segnale: “Sequoia Monumentale”.
Ci siamo tenuti la curiosità dal 2014 ad oggi.
Ma ieri, 16 luglio, abbiamo fatto la conoscenza di questo stupefacente esemplare di Sequoia sempervirens, messo a dimora qui nel 1850.
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Ma non divaghiamo.
Sempre avvincente l’omiletica di Mons. Farinella, che ha colto anche una sintonia – per dir così – con l’attualità, commentando il brano tratto dal Primo Libro dei Re, Cap. 18.
Siamo in quel momento drammatico che vede il Profeta Elia al centro di una tensione senza precedenti: dal punto di vista del contrasto all’idolatria, non meno che della prova vissuta dal popolo per una siccità epocale.
E’ il momento in cui la promessa annunciata da quella nuvoletta finalmente apparsa all’orizzonte, simile ad una mano d’uomo, si dimostra verace, affidabile, foriera di una nuova possibilità di vita.
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Di momento non certo minore la Lettura che ci presenta il capitolo quarto della Lettera ai Galati.
Un passo che ci aiuta sempre ad abbassare la testa per consegnarci (che non vuol dire rassegnarci) al Mistero, ammettendo la nostra minorità.
Il versetto è questo (Galati, 4,4):
” Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna (…)”.
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Un passo che ritorna spesso anche per tanti altri motivi, il primo dei quali è questo: San Paolo non nomina mai Maria, salvo in quest’unica allusiva espressione “nato da donna”.
Che però, a pensarci bene, basta per dire come siano andate le cose e quale fosse il disegno del Padre che le aveva ordinate.
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Ma restiamo sulla traccia.
Perché, dunque, quella “pienezza del tempo”?
E, soprattutto, in quel luogo.
Cosa significa?
Cosa significa, in particolare, in una terra – la Giudea – sotto il tallone di un dominatore straniero, cinico ed esigente, certo tutt’altro che orientato a fare crescere, come si direbbe oggi, quel popolo.
Lo stesso popolo di Dio era tormentato da lotte intestine.
Era un tempo di violenze.
Era forse questa la “pienezza del tempo” cui una Misericordia provvidente avrebbe potuto pensare per “mandare” quel così unico Figlio?
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Questi sono i pensieri che si affastellano, se si guarda il Mistero della salvezza secondo le categorie umane.
Non riusciamo a “comprendere”, cioè “contenere” quello che è più grande di noi.
Incomprimibile, così incomprensibile.
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Meglio, dunque, accettare il nostro limite ed ammettere che quella “pienezza del tempo” altro non fosse se non il “momento giusto”, pensato come giusto dal Padre: era ora.
Quella era l’Ora della Storia scelta dal Padre.
Per motivi che sa Lui, anche se non li comprendiamo noi.
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E, così, se è lecito paragonare le piccole cose delle nostre storie locali, di piccola comunità di credenti, di piccola comunità civile, a quelle grandi che ci richiamano alla Storia della Salvezza, non dobbiamo chiederci perché il Padre abbia voluto gettare proprio qui, agli inizi del Terzo Millennio, in un bosco vicino a Biella, dentro un cascinale semi abbandonato, il seme da cui sarebbero arrivati nuovi e così copiosi frutti spirituali.
Non dobbiamo chiederci perché abbia voluto accendere una luce qui, in quest’ora della Storia e della nostra storia di comunità civili ed ecclesiali.
Dobbiamo ringraziare il Padre e contemplare la scena illuminata e, soprattutto, cooperare alla realizzazione del Suo disegno di misericordia.